30 anni fa Tangentopoli; il nostro pensiero a 1111 indagati, rovinati e non condannati

Cosa c’è da festeggiare? Il 17 febbraio si celebrano i trent’anni di Mani Pulite, e qualcuno è già pronto a suonare la grancassa. In quel lontano giorno del 1992 il “mariuolo” Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, veniva ammanettato con in tasca una mazzetta di 7 milioni di lire, in una retata coordinata dall’allora sconosciuto pm Antonio Di Pietro. Da lì si scoperchierà il vaso di Pandora della corruzione che farà crollare l’intera classe dirigente della prima Repubblica (ex Pci a parte).

Prima di dare il via ai festeggiamenti, prima di stappare la bottiglia buona in onore dei grandi moralizzatori in toga che ripulirono il paese dalle sozzure del malaffare, ricordiamoci un numero. Un numero semplice da memorizzare. 1111: millecentoundici. Sono le persone assolte o prosciolte nel filone milanese di tangentopoli. 1111 persone su 3200 richieste di rinvio a giudizio. In altre parole, nell’epoca d’oro della purificazione giudiziaria, meno della metà dei processati è stata assolta in quanto innocente. Dunque la metà degli arresti e dei processi semplicemente non aveva senso. Ricordiamocelo, prima di scorticarci le mani dagli applausi per il “rinascimento degli onestI”. 1111 persone sono state sbattute in prima pagina nel ruolo di ladroni, hanno subito settimane se non mesi di ingiusta detenzione, sono stati isolatE dalla vita pubblica come un pericolo sociale: stiamo parlando di vite rovinate per sempre e famiglie distrutte. Centinaia di invisibili che oggi sfuggono all’agiografia dominante. Siamo sicuri ci sia davvero da festeggiare?

Certo, la corruzione c’era. Ma il metodo Borrelli – quello per cui “noi non incarceriamo la gente per farla parlare: la scarceriamo dopo che ha parlato” – è stato più efficace nel conquistare i servizi di apertura dei tiggì, con i blitz da film poliziesco, anziché reprimere effettivamente i veri reati. Insomma, la medicina tanto osannata si è dimostrata quantomeno fallace, a fronte di drammatici “effetti collaterali”. Solo nel biennio 1992-94 ci furono 41 “suicidi giudiziari”: un’enormità. Anche qui, parliamo di persone con una storia, una famiglia, e un nome: da Gabriele Cagliari, a Raul Gardini, a Sergio Castellari, a Sergio Moroni. Persino il quotidiano “Le Monde”, nel 1993, scrisse che “in fin dei conti Tangentopoli ha provocato più suicidi che grandi processi”.

Tutto sommato, le vere conseguenze di Mani Pulite non sono giudiziarie (la disonestà regna ancora sovrana) ma politiche: siamo ancora figli di quella stagione. Tramontate le ideologie, facciamo i conti con le idolatrie nate in quel biennio forcaiolo. Il giustizialismo spinto all’eccesso nasce da lì, e domina ancora il campo. La politica morta sotto i colpi del Pool di Milano, certo non scevra di nefandezze, di fatto non è mai resuscitata dalle macerie. I partiti liquefatti dalle inchieste sono rimasti, per l’appunto, liquidi. Tabula rasa. Forse è questa la grande differenza tra ieri e oggi: allora, tra ladri veri o presunti, esisteva ancora la Politica con la P maiuscola. Oggi neanche quella. Per dirla con le parole di un grande notabile del passato, “E’ vero, rubavano. Ma almeno sapevano stare a tavola”.

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