domenica, 24 Novembre 2024
40 anni fa il primo volo dello Space Shuttle Columbia
Per la comunità aerospaziale il 12 aprile non è soltanto l’anniversario del volo di Juri Gagarin. Vent’anni dopo il primo cosmonauta fu lanciato per la prima volta lo Space Shuttle Columbia, missione Sts-1, con a bordo gli astronauti della Nasa John W. Young e Robert L. Crippen. E se il volo della Vostok fu comunque qualcosa di balistico e comandato dal terra, l’impresa del Columbia segnò l’inizio di una nuova era spaziale, quella dei veicoli riutilizzabili.
STS-1 Columbia “Resource Tape” (FULL Flow, Arrival, Launch, Post-Landing) www.youtube.com
Il 12 aprile 1981 a comandare quel volo c’era il capo degli astronauti della Nasa in persona, colui che aveva preso parte al programma Gemini e due volte nelle missioni Apollo, riuscendo a entrare nel piccolo gruppo di persone che avevano camminato sulla Luna nel 1972 con Apollo 16. Sul sedile accanto, in quella che pareva la cabina di un grande velivolo ma definito dai piloti un “pessimo aliante”, l’allora ragazzo che aveva diretto l’incontro Apollo-Soyuz e tre missioni dello Skylab, il laboratorio orbitante che possiamo definire il nonno dell’attuale Stazione spaziale internazionale. Nessuno prima di loro era rientrato nell’atmosfera a bordo di quella macchina volante, della quale avevano contribuito a progettare i comandi, e che seppure avesse a bordo computer di una certa potenza costringeva gli astronauti a non poter fare a meno di imbarcare 22 manuali di istruzioni, dei quali alcuni alti sei centimetri, per un peso totale di 31 kg. Ognuno dedicato all’eventuale gestione di un’emergenza, con alcune procedure lunghe oltre 250 passi. Non andò tutto bene per la Sts-1, ci furono vari malfunzionamenti, il pericolo che il carrello d’atterraggio venisse danneggiato, le eccessive vibrazioni causate dai motori e dal gigantesco serbatoio di propellente liquido che stavano incrinando gli attacchi con l’astronave, i razzi laterali a propellente solido erano qualcosa di nuovo e totalmente inesplorato dalla Nasa fino a quel momento. Insomma rispetto ai vettori come l’Atlas e il Redstone, lo Shuttle era qualcosa di completamente differente a partire dal fatto che era pilotabile con cloche e aerofreno. Una semi-novità nello spazio, l’unica esperienza precedente di “Joystick” era stata quella del Lem.
Certo, anche lo Shuttle decollava verticalmente da Cape Canaveral, ma per il rientro erano previste una serie di piste, le principali in territorio americano, altre d’emergenza sparse in tutto il mondo. Con un trucco: lasciare che la rotazione terrestre le facesse arrivare a portata di planata.
Perché rispetto alle capsule, delle quali la traiettoria era calcolata e prevista, qui cambiava qualcosa: una volta iniziato il de-orbiting, lo Shuttle assumeva le caratteristiche del pessimo aliante e una volta impostati avvicinamento e atterraggio su una delle piste predisposte non c’era possibilità di ripensamento, l’atterraggio avrebbe dovuto essere perfetto.
Due giorni e 36 orbite dopo il lancio ecco la vera impresa nell’impresa, il momento della verità: questo oggetto alato grande poco più di un torpedone dovette attendere che un paio di grandi tempeste lasciassero il cielo dell’America del sud, quindi affrontò l’atmosfera terrestre e dall’essere diverse volte più veloce del suono rallentò fino a quando le ali divennero in grado di farlo planare a malapena – scendeva con un angolo di discesa di 43° – ma rimanendo perfettamente controllabile. Niente più paracaduti quel giorno, niente splashdown, soltanto l’abilità di Young e Crippen che ne stabilizzarono la planata iniziale a folle velocità e picchiata, per poi rallentarlo e disegnare una traiettoria finale perfetta, portandolo a posare delicatamente le ruote sulla pista 23 della base di Edwards, accarezzando il terreno con lo Shuttle che perdeva circa 30 centimetri di quota al secondo, neppure fosse un aeroplano da turismo. Con il mondo che anche stavolta lo vide in diretta Tv, ma a colori. Tutto cambiò da quel giorno, i sovietici tentarono la rincorsa con la loro copia della navetta, quel Buran che sarà lanciato una sola volta sette anni dopo, il 15 novembre 1988 ma senza equipaggio. E che finirà tra le vittime della disgregazione dell’Unione Sovietica.
Gli Shutlle da quell’aprile 1981 saranno protagonisti di missioni esaltanti, abitueranno l’umanità a una routine spaziale interrotta soltanto da due gravissimi disastri (Challenger, 1983, Columbia, 2003), a ricordarci che l’errore umano, il nostro intrinseco essere fallaci, è il vero mostro contro il quale dobbiamo lottare. Le navette saranno ammirate, accusate di essere troppo costose e delicate, finché saranno dismesse, con gli esemplari rimasti (Atlantis, Discovery, Endeavour), sparsi nei principali musei americani. E quando i visitatori entrano e osservano la cabina non possono fare a meno di osservare che tutte hanno una “cloche”, che tutte volarono come pessimi alianti.