lunedì, 25 Novembre 2024
Il futuro delle donne afghane: schiavitù o morte
Mentre all’aeroporto di Kabul è il caos più completo tra C-130 che decollano a velocità super-sonica per evitare i razzi dei talebani e un’orda indistinta di uomini, donne e bambini pietisce disperata un posto per andare dovunque, purché non lì, nell’inferno e nella morte certa, è ormai chiaro che la salvezza per questo paese non arriverà né da cielo né dal mare (che non c’è) né dalla terra.
Al di là degli altisonanti proclami di solidarietà della politica e del mondo civile, nessuno aiuterà questo popolo, cui può già oggi essere scolpito un epitaffio: se il Presidente americano Biden, non fa altro che rassicurare i talebani che verrà assolutamente rispettata la data del 31 agosto, chinando il capo con sconcertante obbedienza a soggetti che non meriterebbero alcuna legittimazione, la speranza è morta per sempre.
Ancora più grave ed emblematico è l’atto con cui gli USA sdoganano ufficialmente il regime talebano inviando nientemeno che il proprio capo della CIA, William Burns, per parlare con il futuro capo talebano Baradar, addirittura mettendolo in guardia da attentati di cellule ancora più fondamentaliste, l’Isis, infiltratesi nel paese e pronte a colpire.
Cellule che, puntuali come la folgore, hanno fatto stragi kamikaze con centinaia di morti innocenti, per ricordare al mondo e ai talebani stessi che c’è qualcuno più estremista e cattivo di loro.
E siccome non c’è mai fine al peggio, iniziano le crepe fra i talebani che si dissociano da Baradar accusandolo di eccessiva morbidezza e un’interpretazione poco rigorosa della Sharia, diventando capibastone di fronde ancor più radicali…. e fin qui nulla di inaspettato.
Per giorni abbiamo pensato che in Afghanistan si sia toccato il fondo ma qui c’è da scavare una fossa delle Marianne e la prospettiva per le donne afghane si fa più nera dei meandri dell’Acheronte perché se pensavamo che già i talebani incarnassero la peggior misoginia concepibile, alle loro spalle si muovono entità che li sfidano sul terreno del terrore.
Walimohammad Atai, educatore pedagogico e consulente del Tribunale in Italia, ha dichiarato in alcune interviste rese sugli organi di stampa, che nelle ‘scuole’ di indottrinamento talebano insegnavano che il posto della donna è a casa o nella tomba.
A sì? E allora sceglierei la tomba.
Perchè se la prospettiva che attende le donne in Afghanistan è peggiore della morte, garantita con granitica certezza per ogni minimo segno di emancipazione, se il destino per loro non è che schiavitù, percosse, stupri, per essere usate solo come esemplari da riproduzione di figlie che verranno a loro volta fatte schiave, percosse e stuprate o di figli maschi avviati all’assassinio sistematico o al sacrificio kamikaze, l’unica soluzione è estrema come estremi sono i tempi e il contesto che le attende.
Una rivoluzione che sia disposta al sacrificio ultimo: una ribellione corale, che affronti il nemico con qualsiasi mezzo, anche con la propria morte.
Se vivessi là non vorrei essere parte di quell’orrido sistema un solo minuto, morirei piuttosto di accettare di fare parte di quella società disegnata da uno sceneggiatore horror.
Sogno una Giovanna d’Arco afghana, magari fra quelle donne giudici che il mondo si sta mobilitando per salvare, o fra gli avvocati donna che hanno sfidato rischi immani per esercitare una professione riservata solo ai maschi.
Un’eroina che unisca tutte le donne afghane che, all’unisono, si ribellino contro i loro aguzzini e prendano il potere ovunque, nei polverosi villaggi contadini come nelle maggiori città, sfidando gli Ak-47, le scimitarre o le bombe, tutte insieme, pronte al sacrificio collettivo piuttosto che darla vinta.
E se i talebani o gli estremisti islamici dell’Isis-K avranno la meglio, ogni donna sia disposta a morire piuttosto che consegnarsi, così i loro aguzzini domineranno su un paese senza donne.
Si congiungano fra loro, con le capre, per estinguersi come i dinosauri: vogliono le donne a casa o nella tomba?
Bene, eccoli accontentati.
Quando anche le loro madri, mogli, figlie avranno scelto questo destino forse si renderanno conto di quanta follia ammanti il mondo che volevano disegnare con le loro cieche distorsioni ideologiche.
Sarà una lezione per loro così per il mondo intero che, forse, si domanderà dove possa aver sbagliato ad aver precipitosamente abbandonato questo popolo in nome della realpolitik e delle convenienze elettorali, dopo oltre un secolo di bla-bla-bla nei palazzi del potere, dall’ONU alla Nato, alle stanze dei bottoni degli stati più influenti.
A chi pensi che io stia vaneggiando vorrei citare questa frase: “Sii sempre, in ogni circostanza e di fronte a tutti, un uomo libero e pur di esserlo sii pronto a pagare qualsiasi prezzo“.
Non l’ha pronunciata il Mahatma Gandhi né un bonzo tibetano mentre si dava fuoco per protestare contro la repressione cinese, né un pilota giapponese che si schiantava volontariamente contro le portaerei statunitensi durante la seconda guerra mondiale.
E’ di Sandro Pertini, il nostro Sandro Pertini: qualsiasi prezzo, ha detto, e il prezzo ultimo è la morte che, a certe condizioni, è persino migliore del terrificante ed insulso simulacro di ‘vita’ che attende le donne afghane.