A Berlino in corsa La cocina infernale ristorante di NY

Tra i grandi ritorni alla
Berlinale quest’anno, quello del regista messicano Alonso
Ruizpalacios (considerato un habitué del festival e due volte
vincitore dell’Orso d’argento, con A Cop Movie nel 2022 e Museo
nel 2018), che passa oggi in concorso con la sua prima pellicola
in lingua inglese, La Cocina.
    Ambientato nell’arco di una sola giornata in un frenetico
ristorante di New York e ispirato all’opera teatrale di Arnold
Wesker del 1959, The Kitchen, il film si tuffa nelle viscere di
una cucina di dimensioni industriali di un ristorante a Times
Square di New York, dove il cibo viene sfornato per servire per
lo più turisti. Un film fondamentalmente anti-food porn quello
di Ruizpalacios che dice: “Volevo mostrare l’altra parte
dell’industria alimentare dove l’opportunità è più importante
della qualità del cibo. È insomma una metafora del capitalismo
aziendale”. Ora in questo ristorante monstre, infernale, sono
scomparsi improvvisamente anche i soldi dalla cassa e tutti i
lavoratori vengono così interrogati, lavoratori particolarmente
fragili perché sono tutti immigrati clandestini abituati a
lottare ogni giorno per difendere il proprio lavoro. Uno dei
cuochi è Pedro (Raúl Briones) giovane messicano, sognatore e
piantagrane e innamorato di Julia (Rooney Mara), una cameriera
americana non disposta ad impegnarsi in una relazione con un
immigrato privo di documenti. Ora Rashid (Oded Fehr),
proprietario del locale, ha detto a Pedro che lo aiuterà, ma
quando il cuoco viene accusato di aver rubato i soldi si infuria
tanto da fermare la catena di produzione in cucina. “Alonso –
dice Rooney Mara – ci ha fatto preparare lungamente a questo
lavoro come fossimo in un vero e proprio campo di addestramento
in cucina per chef e cameriere. È stata un’esperienza
straordinaria”. Ci tiene invece a dire Ruizpalacios: “Anche se
si è tentati di vedere La Cocina come un film sull’immigrazione
il suo vero significato è però altrove. Il fatto che questi
personaggi siano immigrati clandestini è solo una condizione,
una circostanza, un dato di fatto. Ma quello con cui questi ‘invisibili’ stanno davvero lottando è trovare un senso di sé,
di comunità e di fratellanza nel bel mezzo del loro duro
lavoro”.
   

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