Venezia: ‘Il palazzo’ dei sogni perduti

(ANSA) – ROMA, 05 SET – Un palazzo al centro di Roma
(vista Vaticano) diventato per anni un set permanente di un film
mai finito, girato con i vari inquilini (soprattutto aspiranti
artisti e studenti) e diretto da Mauro Fagioli, regista nelle
intenzioni, che ha finito per isolarsi nella sua ‘torre’ dove è
morto prematuramente per malattia. E’ la curiosa e spiazzante
ambientazione de Il palazzo, il documentario di Federica Di
Giacomo, che debutta alla Mostra internazionale del cinema di
Venezia come evento speciale nelle Giornate degli Autori. Vincitrice nel 2016 al lido del premio per il miglior film
nella sezione Orizzonti con Liberami, film non fiction sulla
rinascita della pratica dell’esorcismo, stavolta la regista
affronta un tema anche autobiografico, visto che oltre 10 anni
fa era stata per un periodo, ingaggiata come operatrice di
macchina per il film sperimentale di Fagioli. L’opera era
finanziata, come ogni attività del palazzo dal proprietario
dello stabile, Rocco, pronto a investire come un mecenate
d’altri tempi, nella cultura, nell’arte e negli artisti (oltre
che nei suoi dischi da musicista) le risorse di famiglia, non
facendo neanche pagare l’affitto. “L’interesse per me veniva
dall’isolamento di questa comunità, non dettata da condizioni
socio economiche particolari ma dal tentativo di creare cultura
là dentro senza avere nessuna relazione con l’esterno – spiega
all’ANSA Federica di Giacomo -. Avevo iniziato il documentario
quando Mauro aveva deciso con Rocco di finire il suo film”. Dopo
poco però è venuto a mancare “e io ho deciso di continuare il
racconto, per l’energia che ho sentito nella riunione di amici
nata dalla sua scomparsa”. Il racconto prende il via proprio dal
ritrovarsi dopo anni di molti dei protagonisti del film
incompiuto (le cui immagini punteggiano il documentario, ndr) allontanatasi via via del palazzo. “Ho pensato sarebbe stato
interessante vivere con loro questa elaborazione del lutto per
una realtà che racchiudeva tutti i loro sogni giovanili e
aspirazioni”. L’autrice spera “che nel film ci sia uno sguardo
tenero su loro, che si raccontano con grande autoironia, e
tutti noi, questo è anche un film generazionale”. (ANSA).
   

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