Paralimpiadi, l’estate record dell’Italia che si è scoperta sportiva

Le Paralimpiadi di Tokyo si sono chiuse con un bottino record per l’Italia, nona nel medagliere come era già capitato nei Giochi di luglio e con un raccolto che non si era mai visto se non nel 1960 a Roma, all’alba di una manifestazione che si è ormai ritagliata uno spazio importante nei cuori di tutti. L’Italia torna a casa con 69 medaglie complessive (109 unendo le 40 delle Olimpiadi di Jacobs e Tamberi e di tanti altri): 14 ori, 29 argenti e 26 bronzi. L’immagine di Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto, vestite di tricolore un mese dopo la foto simbolo dell’abbraccio di Jacobs e Tamberi, sempre sullo stresso nastro fatato, ha fatto il giro del mondo e si è presa le prime pagine in Italia, non solo dei quotidiani sportivi.

Abbiamo vissuto un’estate indimenticabile, dall’Europeo vinto a Wembley dai ragazzi di Mancini fino al trionfo delle ragazze del volley in casa della Serbia passando per Tokyo, per l’impresa dell’Italbasket tornata alle Olimpiadi dopo un’assenza lunghissima per non dimenticare la finale di Wimbledon di Berrettini e la crescita tumultuosa del tennis azzurro, giovane e sfrontato oltre che ricco di talento. E tante altre piccole e grandi cose che non sono finite in prima pagina ma che danno il senso di un movimento in salute e che è salito prepotentemente sulla ribalta.

E’ proprio così? O rischiamo di leggere la situazione attraverso una lente deformata dall’ubriacatura di tricolore dell’estate che ci lasciamo alle spalle, dimenticando i problemi dello sport italiano? Il paradosso è che ci siamo scoperti migliori di tanti in fondo al tunnel della pandemia, uno tsunami che ha messo in ginocchio l’intero settore e che costerà centinaia di migliaia di tesserati a tutte le discipline: ragazzi che sono rimasti fermi per quasi due anni e che non è detto torneranno in palestra, piscina o su un campo da gioco. Migliaia di società, spesso rette sul volontariato, con una storia che rischia di essere cancellata da mesi di inattività.

Era il grido di dolore lanciato dal Coni prima delle Olimpiadi e non può essere dimenticato. L’effetto Tokyo (e tutto il resto) sarà un propellente perfetto per convincere tanti a rialzarsi dal divano e a tornare a praticare sport, ma bisogna lavorarci su. Non è un caso che il numero uno del Coni, Giovanni Malagò, abbia messo in agenda nel suo prossimo confronto con il Governo la necessità di remare tutti dalla stessa parte, lasciandosi alle spalle divisioni e polemiche che hanno caratterizzato la lunga stagione pre Covid, quella della riforma delle strutture dello sport in larga parte abortita. I successi sono stati una vetrina per tutti, anche per chi è salito in corsa sul carro dei vincitori; sarebbe utile che ora si trasformassero in idee e investimenti per dar seguito a quanto vissuto e aprire un ciclo che avrà in Parigi 2024 la prossima tappa con sullo sfondo i Giochi invernali di Milano e Cortina nel 2026.

Anche perché il modello dello sport italiano rimane comunque ai limiti dell’artigianalità, con pregi e difetti che ne discendono. Ad alto livello si fa grazie ai corpi militari, mentre la base è larga ma non larghissima. Per fare un esempio, il movimento paralimpico delle 69 medaglie si fonda su circa 2300 società riconosciute. Tante, ma non sufficienti per garantirci con continuità un posto nella Top10 mondiale. Si riparte da qui, per consolidare l’estate dei record e rendere l’Italia un Paese che corre, nuota e gioca davvero e non solo in un luogo che ha vissuto mesi meravigliosi ma al di sopra delle proprie possibilità.

Leggi su panorama.it