La storia tragica e grottesca dell’attentato in Nuova Zelanda

Polemiche in Nuova Zelanda a seguito delle indagini sull’attacco terroristico di stampo islamico avvenuto in un supermercato di Auckland (Nuova Zelanda) lo scorso 3 settembre. Gli inquirenti hanno infatti identificato l’autore dell’attacco; si tratta del 32enne Ahamed Aathil Mohamed Samsudeen, un musulmano tamil dello Sri Lanka arrivato in Nuova Zelanda dieci anni fa con un visto per studenti, in cerca di status di rifugiato (concesso nel 2013), insomma. Un personaggio conosciuto molto bene, anzi, benissimo, dalle Forze dell’Ordine e dall’Anti Terrorismo, e che viveva nella moschea di “Glen Eden” sotto la supervisione del tribunale.

Samsudeen era stato notato per la prima volta dalla Polizia nel 2016 quando inizio a pubblicare su Facebook il suo sostegno agli attacchi terroristici e all’estremismo violento. Ma perché lo controllavano ancora? Qui la storia si fa davvero grottesca; nel luglio scorso era stato scarcerato dopo tre anni di detenzione e dopo che era stato arrestato poco prima di compiere un attacco come quello di qualche giorno fa. Prima della condanna nel 2017, lo avevano arrestato all’aeroporto di Auckland. Era diretto in Siria ‹‹presumibilmente per unirsi all’insurrezione dello Stato Islamico›› dissero le autorità. All’epoca del secondo arresto in casa sua trovarono coltelli da caccia e materiale di propaganda dello Stato Islamico. Una volta scarcerato non è stato espulso dalla Nuova Zelanda nonostante non avesse modificato i suoi comportamenti e i gravi timori che avrebbe attaccato gli altri. Nemmeno stavolta. Così per 53 giorni da luglio, la Polizia ha seguito ogni sua mossa, un’operazione che ha coinvolto circa 30 agenti che hanno lavorato 24 ore su 24 fino a quando è entrato in un supermercato di Auckland, ha afferrato un coltello da cucina da uno scaffale e ha accoltellato al grido di Allah u akbar sette persone, ferendone gravemente tre. Le autorità di Auckland hanno subito ricordato che l’assalitore ‹‹è stato neutralizzato in soli 60 secondi››.

Davvero un bell’esempio di efficienza se non fosse che fuori dal supermercato c’erano gli agenti in borghese che controllavano proprio Samsudeen.

L’attacco ha evidenziato carenze nelle leggi anti-terrorismo della Nuova Zelanda che secondo gli esperti ‹‹sono troppo concentrate sulle azioni punitive e inadeguate per affrontare i complotti prima che vengano eseguiti››. Il Primo ministro Jacinda Ardern particolarmente attiva nelle iniziative per contrastare l’islamofobia ha affermato che ‹‹i legislatori erano vicini a colmare alcuni di quei buchi legislativi quando si è verificato l’attacco›› e ha promesso modifiche alla legge entro la fine del mese.

La stampa neozelandese in queste ore ha ricordato come un rapporto del tribunale avvertiva che Samsudeen ‹‹aveva la motivazione e i mezzi per commettere atti violenti nella comunità e rappresentava un rischio elevato››. Lo descriveva come ‹‹un uomo che nutriva atteggiamenti estremi e viveva uno stile di vita isolato dagli altri››. Ma il giudice ha deciso di rilasciarlo, condannandolo a un anno di sorveglianza in una moschea di Auckland.

Sabato, il fratello di Samsudeen, Aroos, ha detto che la famiglia voleva inviare il loro amore e sostegno a tutti coloro che sono rimasti feriti nell’attacco. Ha parlato del fatto che ‹‹Samsudeen soffriva di problemi di salute mentale, voleva impressionare i suoi amici su Facebook e non aveva supporto›› inoltre ‹‹riattaccava il telefono quando gli dicevamo di dimenticare tutti i problemi da cui era ossessionato. Poi ci richiamava lui stesso quando si rendeva conto di aver sbagliato›› concludendo che ‹‹Aathil ha sbagliato di nuovo ieri. Ovviamente siamo molto tristi che non sia stato possibile salvarlo››. Le persone accoltellate sentitamente ringraziano.

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