mercoledì, 5 Febbraio 2025
Reflection – La recensione del film di Vasyanovych da Venezia 78
Gli effetti a lungo termine della guerra russo-ucraina sono ancora da verificare, ma il cinema si sta già impegnando per elaborare i traumi del conflitto, peraltro tuttora in corso. A Venezia 78 è stato presentato il documentario Tranchées, di cui abbiamo intervistato il regista, mentre in concorso troviamo il nuovo film di Valentyn Vasjanovyč, che aveva affrontato lo stesso tema anche nel precedente Atlantis (vincitore della sezione Orizzonti nel 2019).
Se quest’ultimo immaginava un futuro dopo la fine della guerra, Reflection è invece immerso fino al collo nelle sue vicende, e racconta la storia del chirurgo Serhiy (Roman Lutskyi), catturato dall’esercito russo durante una missione nell’Ucraina orientale. Oltre a subire torture e umiliazioni sulla sua pelle, Serhiy assiste alle violenze cui sono sottoposti gli altri prigionieri, mentre collabora con gli aguzzini come medico. Ad attenderlo a Kiev ci sono l’ex moglie e la figlia, con cui costruirà un legame ancora più profondo dopo il rilascio.
Già dall’incipt possiamo capire quanto sia importante la cornice familiare, e infatti Vasjanovyč ha immesso nella trama alcuni episodi del suo rapporto con la figlia. Non si tratta solo di generiche responsabilità genitoriali, ma di essere presenti quando i figli scoprono l’irreversibilità della morte, e come essa riguardi anche le persone care. Reflection non è mai didascalico nel dipanare l’argomento, anche in virtù di un registro molto peculiare: il film è composto da una successione di piani sequenza con camera fissa, di solito in campo totale. Di per sé non è una soluzione nuova (Roy Andersson ne ha fatto un marchio di fabbrica, senza dimenticare Peter Brosens e Jessica Woodworth ne La quinta stagione), ma Vasjanovyč riesce a ad appropriarsene con cognizione di causa, introducendo lente zoomate o sporadici movimenti nelle scene più dinamiche. Il cineasta ucraino dimostra una grande perizia tecnico-organizzativa, poiché non tutte le sequenze sono statiche: talvolta la camera è posta all’interno di un veicolo in movimento, oppure segue il protagonista attraverso le stanze della tortura. Alcune scene sono impressionanti per costruzione ed esecuzione, ma non è solo una questione tecnica.
Inquadrando tutto dalla distanza, anche le violenze della prigionia, Vasjanovyč evita gli espedienti ricattatori e pone una distanza critica fra noi e l’orrore, lasciando che siano i fatti a parlare. Il suo sguardo non è freddo, ma riflessivo: fa di tutto per non imporre filtri che possano influenzare il coinvolgimento del pubblico, comprese le musiche, del tutto assenti. Anche in virtù di questa scelta, il naturalismo dei segmenti è molto marcato, e permette al regista di creare forti opposizioni quando mostra circostanze un po’ insolite o stranianti. Reflection è effettivamente un’opera che vive di contrasti: Serhiy è quasi sempre al centro del quadro, ma intorno a lui si alternano ambienti fra loro diversissimi, come il suo appartamento medio-borghese o le lugubri sale della tortura. Ne deriva un profondo senso di desolazione che si addolcisce nella splendida sequenza finale, dove Vasjanovyč non esclude la possibilità di una rinascita. Non è un caso che i personaggi siano inquadrati più da vicino, e condividano lo spazio in modo più intimo: la gioia del ritrovarsi buca lo schermo, superando persino la grammatica espressiva del film. Senza dubbio uno dei migliori del concorso.