mercoledì, 5 Febbraio 2025
Old Henry: la recensione del western con Tim Blake Nelson da Venezia 78
Ci sono volti che sono nati per fare certi generi, e Tim Blake Nelson è una delle più grandi “facce da western” attive nell’industria hollywoodiana. Una qualità che non ha sfruttato molto spesso (lo ricordiamo in La ballata di Buster Scruggs, ad esempio), ma che mette a frutto in Old Henry, western scritto e diretto da Potsy Ponciroli che è stato presentato fuori concorso a Venezia 78.
Al centro un contadino, Henry, che vive pacificamente nei territori dell’Oklahoma di inizio ‘900 insieme al figlio Wyatt (Gavin Lewis). La moglie di Henry è morta anni prima e Wyatt sogna di lasciare la fattoria e vedere il mondo. Un giorno, Henry trova un uomo ferito, Curry (Scott Haze), in possesso di una borsa piena di denaro. A quest’ultimo sta dando la caccia una posse guidata da Ketchum (Stephen Dorff), che si spaccia per sceriffo ma in realtà guida una banda di rapinatori in cerca del malloppo. Ketchum e i suoi troveranno la fattoria di Henry e si scoprirà che il contadino è più abile con la pistola di quello che tutti, Wyatt compreso, avrebbero potuto immaginare.
La premessa è da classico western “d’assedio”, con un’ambientazione unica e un gruppo di malintenzionati a cui dovrà tenere testa un uomo solo, con pochissimi aiuti. Lo svolgimento è da western realistico: ambientazione crepuscolare, dopo la fine dell’era classica del West mitologico, personaggi moralmente ambigui, fatica, sudore, sangue e la sofferenza della vita da coloni. Siamo lontani dal West idealizzato di John Wayne: Old Henry ha decisamente una personalità moderna.
Il film avanza con un ritmo lento ma costante, presentando tutte le pedine, approfondendo il legame tra Henry e Wyatt, e Tim Blake Nelson regge tutto sulle sue spalle. Poi avviene la svolta principale del film, che ovviamente non riveleremo, e improvvisamente Ponciroli accelera tutto in uno scontro finale che sembra provenire da un altro film. Dal western realistico si passa al western più classico, in cui un solo uomo riesce a falciare diversi avversari da solo, e tutto lo scontro finale con gli uomini di Ketchum avviene troppo rapidamente e facilmente. Il che priva, purtroppo, il finale del giusto pathos e del giusto crescendo. Anche se la rivelazione su Henry è molto divertente e farà piacere agli appassionati del genere, viene sprecata in una risoluzione frettolosa che tradisce il ritmo solenne e malinconico del resto del film.
Old Henry resta un buon western, molto semplice e diretto, che fa ottimo uso degli scenari naturali e della casa (vera) in cui è ambientato. E fa ottimo uso degli attori: oltre a Nelson, anche Stephen Dorff, con quel suo gusto molto particolare nell’interpretare villain che non riescono a stare completamente antipatici nonostante le nefandezze di cui si macchiano, Gavin Lewis e Scott Haze. Peccato che Ponciroli abbia voluto chiudere tutto così in fretta e senza troppa inventiva nella gestione delle sequenze d’azione. Per una volta sarebbe stato meglio che il film fosse durato dieci minuti in più.
Per leggere tutti i nostri articoli e recensioni da Venezia 78, cliccate QUI.