Paradossi, ‘in Zamora il calcio fa superare le paure’

Il calcio come ossessione. ma anche
come “strumento per confrontarsi con gli altri e mettersi in
gioco, uscire dal proprio isolamento, dai propri preconcetti,
superare le proprie paure”. Così Alberto Paradossi racconta
all’ANSA il suo personaggio, il timido e complesso ragioniere
Walter Vismara, protagonista di Zamora, il debutto alla regia di
Neri Marcorè (producono Pepito Produzioni con Rai Cinema),
ambientato nella Milano in pieno boom degli anni ’60, che dopo
il debutto al Bif&st arriva in sala dal 4 aprile con 01
Distribution. Nella storia, liberamente ispirata dall’omonimo romanzo di
Roberto Perrone, Walter, ragioniere trentenne di provincia dove
vive con la famiglia, deve trasferirsi a Milano per un nuovo
lavoro da contabile. Oltre alle iniziali difficoltà di
adattamento in una realtà molto più vitale della sua, Vismara
trova un capo, il cavalier Tosetto (Giovanni Storti),
appassionato di calcio, che pretende la partecipazione di tutti
gli impiegati alle partitelle settimanali aziendali tra scapoli
e ammogliati. Walter, ‘allergico’ da sempre al pallone, si
propone come portiere ma le sue scarse capacità lo rendono lo
zimbello di alcuni colleghi, in primis l’ingegner Gusperti
(Walter Leonardi), che ha delle mire su Ada (Marta Gastini),
giovane e indipendente segretaria per la quale anche il
ragioniere ha un debole. Vismara cercherà una personale vendetta
proprio attraverso il calcio, chiedendo l’aiuto di Giorgio
Cavazzoni (Marcorè), ex grande portiere caduto in disgrazia.
    “Walter sconta una mancanza di esperienza nella vita: può
essere visto all’inizio come un antieroe, che si porta dietro
dalla provincia un orgoglio maschile un po’ bigotto” spiega
Paradossi, classe 1989, diplomato al Centro Sperimentale, con
studi di recitazione anche a Londra e New York, che ha dato
prova tra cinema e tv della sua versatilità, dal figlio di Craxi
in Hammamet alle due stagioni di Studio Battaglia su Rai 1.
    Fondamentale nella storia è l’ambientazione negli anni ’60: “È
un po’ la nostra belle epoque: il film li esplora da due
prospettive, un certo provincialismo, che c’era, ma anche il
sentire uno slancio verso il progresso, sulla spinta
dell’economia florida. Sono anni che mi hanno sempre
affascinato, c’era una continua evoluzione della società e del
costume”.
   

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