Bhutan: viaggio nel regno del drago tonante

Incastonato nel cuore dell’Asia, grande il doppio della Lombardia, è uno dei Paesi più «elevati» al mondo. Aggrappato all’Himalaya, spazia da foreste rigogliose a risaie a perdita d’occhio. Fuori dalle rotte del turismo di massa, sta diventando una nuova meta per gli amanti degli itinerari a lungo raggio. Templi buddhisti, città moderne e accoglienti (non esistono i semafori) e una filosofia di vita, sancita per legge dal re, che si basa sull’indice di «Felicità interna lorda».


Si alimenta di mode il turismo, le destinazioni cambiano per un film di successo, un romanzo, campagne pubblicitarie efficaci o col passaparola. Ma certi angoli del pianeta sono ancora una novità capace di stupire, pur vivendo in un’epoca in cui sembra non ci sia più nulla da scoprire. Se si dice Bhutan, cosa viene in mente? Lo collochiamo nel cuore dell’Asia, tra le vette dell’Himalaya. E gli attribuiamo le caratteristiche immaginate per quelle terre vicine al cielo, a partire da una forte spiritualità. Tutto giusto.

Poi ci incuriosiamo, pochi italiani sono stati in Bhutan, con i dettagli. Eccoli: il Bhutan, il regno del Drago Tonante, è grande il doppio della Lombardia. Un piccolo, ma non minuscolo, lembo di Asia tra i giganti Cina (a nord, Tibet) e India (a sud). Gli abitanti sono quasi 800 mila, più o meno come la città di Torino. La capitale, terza per maggiore altitudine al mondo (dopo La Paz in Bolivia e Quito in Ecuador), è Thimphu, a 2.320 metri. Sulla bandiera nazionale campeggia l’effigie di un drago. Il Paese è una monarchia costituzionale. Sul trono siede, dal 6 novembre 2008, Jigme Khesar Namgyel Wangchuck, 44 anni, quinto re della sua dinastia, sposato con Jetsun Pema, regina di grande bellezza, detta la «Kate Middleton dell’Himalaya». Nota curiosa: per lei il sovrano rinunciò alla poligamia, consentita dalla legge (suo padre aveva quattro mogli, tra loro sorelle). Religione ufficiale è il Buddhismo Mahayana, nella forma tantrica Vajrayana, ovvero «del veicolo adamantino».

Abbiamo lasciato per ultima, ma ultima non è, la particolarità del regno: l’indice di Felicità interna lorda, introdotto dal re precedente e messo in costituzione all’investitura dell’attuale. Potrebbe sembrare una potente idea di marketing territoriale, e lo è, ma mettere nero su bianco la misura del benessere dei sudditi, invece che concentrarsi solo sul Prodotto interno lordo, il Pil venerato in Occidente, lascia il segno. In effetti il miglioramento c’è stato, grazie al processo di modernizzazione che il regno porta avanti, con attenzione a ciò che si dice – formula abusata, ma non ne conosciamo di altrettanto chiare – sviluppo sostenibile. Il Bhutan è carico di tradizioni e di passato, di energie spirituali diffuse nei tanti monasteri affacciati su panorami spettacolari, tra nuvole, valli e vette, eppure non ha paura di aprirsi al mondo. Con moderazione. C’è un solo aeroporto internazionale, a Paro. Non esistono ferrovie, non ci sono semafori. Resta un luogo remoto, ricco di silenzi, ma l’accoglienza ha gli stessi standard di Paesi più facili. Qui, incastonati nella catena himalayana, si conservano leggende diventate globali. Per esempio quella dello yeti – in tempi meno politicamente corretti era «l’abominevole uomo delle nevi» -, comune all’area, dal Nepal, al Tibet, al nord dell’India.

Nel regno viene detto Migoi, «uomo forte». Il turista può avventurarsi su un tracciato escursionistico, piuttosto arduo, dedicato alla creatura. Non solo, una riserva di fauna selvatica, vasta 750 chilometri quadrati quadrati, lo protegge, nel caso esistesse davvero. Noi, scettici, crediamo a Reinhold Messner che, dopo lunghe ricerche tra le nevi (anche in Bhutan), è giunto a una conclusione: lo yeti è un orso, o qualcosa di simile, non un essere umano. Però attira i viaggiatori. Dal 2 al 4 agosto, a Thimphu c’è il Drukyul’s Literature and Arts Festival, per approfondire la leggenda, insieme con altre. Il regno del Drago Tonante è il paradiso dei festival. Per i cinquant’anni dall’apertura al turismo, prima del 1974 pochi viaggiatori potevano entrare, sono in calendario oltre 150 kermesse. Dalle danze con gli insegnamenti di Guru Rinpoche al festival degli uccelli a Zhemgang (sei ore di auto dalla capitale), con giochi e stand gastronomici di cucina locale (ha insospettate varietà), dal raduno mistico-marziale che rievoca antiche battaglie, con reliquie sacre benedette nel fiume Mo Chhu, lo straniero non ha che da scegliere. Anche per questo il turismo, ancora contenuto nei numeri, sta crescendo, con percentuali vicine al raddoppio rispetto al 2023. Nonostante il regno non sia una destinazione a breve raggio: ci vuole tempo e passione per pianificare questa destinazione, raggiungibile in ogni periodo dell’anno.

Il Bhutan ha grande varietà. È ricoperto da foreste per circa tre quarti del territorio, con clima tropicale nel sud e alpino estremo a nord, oltre i 3.500 metri. Differenze impressionanti, in un’area così contenuta. In queste settimane il regno è al cinema, nel film di Pawo Choyning Dorji – regista di alte quotazioni internazionali – C’era una volta in Bhutan. Racconta, con una storia misteriosa girata nelle zone più impervie, il delicato passaggio dalla monarchia assoluta alla democrazia, nel 2006. Vera novità è la pianificazione della regione amministrativa speciale, detta Gelephu mindfulness city, nel sud del regno, fondata sulla filosofia della Felicità nazionale lorda. L’ha annunciata Sua Maestà in gennaio, quale destinazione dallo stile di vita buddhista moderno. Una miscela sulla carta perfetta di spiritualità, benessere, tradizioni. Sarà porta di accesso dei turisti, tra due riserve naturali, ben collegata con l’aeroporto. Una Shangri-La 4.0, l’Eden con ogni comfort ed ecosostenibile. Per la sensibilità occidentale rimanda all’immaginario regno della pace descritto da James Hilton nel romanzo Orizzonte perduto, pubblicato negli anni Trenta, diventato un celebre film di Frank Capra.

Mindfulness City, città della consapevolezza, sarà molto estesa, con 11 quartieri – terrazze urbane sulle colline – e 35 fiumi. Ogni area si ispira al Mandala, figura sacra della tradizione. Un hub economico e turistico di grande ambizione, protetto da risaie per evitare le inondazioni monsoniche e conservare la biodiversità. Un kolossal che non ci si aspetta dal Bhutan. L’etimologia non è una scienza esatta, ma attribuisce alla parola «felicità», che ha radice sanscrita, il significato del fare, produrre. Cosa c’è di meglio che ubbidirle, nel remoto regno della Felicità interna lorda?

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