Sex Education 3, una guerra tra pulsioni ed espulsioni – La recensione

Sex Education

Alla base di Sex Education c’è sempre stato un conflitto implicito tra i bisogni dell’adolescenza e le imposizioni degli adulti: l’educazione sessuale autogestita nasce proprio da questo scontro generazionale, e dal fatto che gli adulti non rispondono alle domande dei ragazzi in materia di sesso, rapporti carnali e conoscenza del corpo. Nella seconda stagione abbiamo visto un tentativo di “istituzionalizzare” tali consulenze, ma l’esperimento è naufragato nel mare rabbioso della frustrazione maschile, quando il preside Groff ha fotocopiato gli appunti di Jean e li ha disseminati in tutta la scuola. Ebbene, la terza stagione deve ricostruire su queste macerie: la Moordale Secondary School accoglie infatti una nuova preside che vuole ripulire l’immagine dell’istituto, radicalizzando la sfiducia dei ragazzi verso il potere.

Una facciata di rispettabilità

La preside si chiama Hope, ed è interpretata dalla Jemima Kirke di Girls. Di primo acchito sembra una ventata d’aria fresca rispetto a un conservatore come Groff: giovane e dall’aspetto solare, Hope si presenta sulle note di Land of a Thousand Dances, con tanto di balletto sul palco dell’auditorium, e rifila agli studenti un esaltante pep talk che suscita l’entusiasmo generale. Dietro il suo interessamento per il loro benessere, però, c’è una precisa strategia di controllo, e i nostri eroi se ne rendono conto non appena Hope impone le divise scolastiche, dipinge gli spazi di grigio e obbliga a camminare per i corridoi in fila indiana.

Intanto, i personaggi che ben conosciamo vanno avanti con le loro vite. Otis (Asa Butterfield) non sa che la sua dichiarazione d’amore è stata cancellata da Isaac (George Robinson), e fa sesso occasionale con Ruby (Mimi Keene), l’ape regina di Moordale. Maeve (Emma Mackie) trascorre gran parte del tempo con Aimee (Aimee Lou Wood), Isaac e la sorellina Elsie, che ora vive con una madre affidataria. Lily (Tanya Reynolds) e Ola (Patricia Allison) hanno relazione stabile, come Eric (Ncuti Gatwa) e Adam (Connor Swindells), che ormai sono “ufficiali”. Pronta a tutto pur di entrare in una buona università, Viv (Chinenye Ezeudu) diventa il braccio destro di Hope, e sostituisce Jackson (Kedar Williams-Stirling) come rappresentante degli studenti. Quest’ultimo si prende una cotta per Cal (Dua Saleh), studentə nonbinary che si scontra subito con la preside per l’uniforme da indossare.

Ovviamente anche gli adulti hanno le loro grane. Jean (Gillian Anderson) è incinta, e deve ancora dirlo a Jakob (Mikael Persbrandt). L’ex preside Groff (Alistair Petrie) è ospite dell’insopportabile fratello Peter (Jason Isaacs), mentre passa le giornate alla ricerca di un impiego. Sua moglie Maureen, da cui sta divorziando, intraprende una nuova relazione e cerca di capire cosa passa per la testa di Adam.

Una realtà prismatica

L’abile montaggio che introduce il primo episodio è la classica dichiarazione programmatica: vediamo diverse coppie impegnate in rapporti sessuali di varia natura, coprendo uno spettro abbastanza ampio di generi e orientamenti. La pluralità delle esperienze è sempre stato il fulcro di Sex Education, anche sul piano “tecnico”. In effetti, la terza stagione consacra l’impegno della serie nei confronti di una realtà sempre più prismatica, dove ogni inclinazione – comprese le cosiddette “minoranze”, ammesso che abbia ancora senso definirle tali – meritano lo stesso spazio e rispetto di quelle maggioritarie. A risentirne è la narrazione, che diventa ancora più corale, ma tende a sfibrarsi in sottotrame poco approfondite: il desiderio di accontentare tutti si traduce in numerosi piccoli ritratti che non vanno molto oltre il “gettone di presenza”, per così dire.

Il discorso vale per Layla, l’altrə studentə nonbinary, e persino per Lily, i cui dubbi sulla sua passione per la fantascienza erotica vengono risolti frettolosamente. L’impressione è che la serie abbia perso un po’ del suo equilibrio dopo la prima stagione, quando l’alchimia tra Otis e Maeve era il nucleo del racconto (insieme al consultorio sul sesso). Ora, invece, Laurie Nunn e gli altri autori continuano a tenerli separati, consapevoli che l’eventuale idillio tra i due potenziali amanti dovrà essere rinviato il più possibile. Scelta sensata in termini di drammaturgia seriale, ma il loro rapporto era uno degli aspetti migliori dello show, e se ne sente la mancanza. Come nella seconda stagione, Otis e Maeve condividono la scena in poche circostanze, anche se valgono l’attesa.

La benevolenza di Nunn verso Maeve, peraltro, riecheggia quella che gli sceneggiatori uomini hanno sempre avuto per i protagonisti maschili. Al contrario di Otis e di altri personaggi, Maeve non presenta veri e propri difetti, e quelli che ha – come il carattere ruvido e inavvicinabile – servono solo a renderla più accattivante. È intelligente, colta, femminista, legge i libri giusti, ascolta le canzoni giuste, è affettuosa con la sorellina e leale con Aimee, promuove l’educazione sessuale e l’empowerment femminile. Senza dubbio nella prima stagione – quando apriva il consultorio dichiaratamente per soldi – aveva più sfumature. Otis risulta forse più credibile nel suo conflitto interno tra generosità ed egoismo, ma persino Ruby presenta dei tratti che ne smussano il carattere. La sua storia con Otis, interessante per come ribalta gli stereotipi del caso, è uno dei vertici della stagione.

Gli inganni del potere

La tendenza a privilegiare certe dinamiche della commedia romantica è palese, anche perché il sesso diventa quasi secondario nel corso degli episodi, e relegato ai personaggi di contorno. Sex Education continua a essere un’emanazione diretta della nostra temperie culturale, e infatti pullula di messaggi sulla body positivity messi in bocca a Otis, Aimee e Jean, un po’ troppo didascalici ma sicuramente utili. Resta pur sempre uno dei pochi prodotti per adolescenti che s’impegnano a promuovere la consapevolezza del corpo, e non si tira indietro nel mostrarne le manifestazioni. Lungi dal voler soddisfare una curiosità morbosa, le scene di sesso appaiono naturali e relativamente credibili, giocose ma non ridicole: una rappresentazione verosimile, che non cerca di appagare il male gaze.

La libertà del sesso si contrappone alla miopia delle istituzioni, ben rappresentata da Hope. La più grande intuizione dei nuovi episodi è proprio questa: fare di lei un emblema del potere e delle sue strategie di controllo, che mirano a guadagnare consenso tramite una falsa solidarietà con le lotte sociali. Hope si mostra spigliata e giovanile, sostiene di essere femminista ed elegge una ragazza nera come rappresentante degli studenti, ma non è molto diversa da quelle multinazionali che praticano il pinkwashing. Ciò che le interessa sono i risultati, e non si fa problemi a instaurare una sorta di distopia scolastica per ottenerli (con decisioni e atteggiamenti talvolta esagerati o poco realistici, a dire il vero). È un’antagonista ideale perché incarna tutto ciò contro cui si sono battuti i movimenti per i diritti civili, quelli della liberazione sessuale e la controcultura: non a caso, predica l’astinenza al posto dell’educazione. Il paradosso è che si tratta pur sempre di una Millennial, ma ormai il futuro è della Generazione Z, la cui apertura verso le diversità è innata, non acquisita.

Anche per questa ragione, le storie dei ragazzi sono molto più interessanti rispetto a quelle degli adulti, che riciclano dinamiche già note (a parte Jean, in alcuni frangenti). Il risultato finale è comunque godibilissimo, per quanto prevedibile in certi risvolti narrativi: quando Maeve accenna al soggiorno studio in America, è facile immaginare dove si vada a parare. Non siamo ancora tornati ai livelli della prima stagione, ma Sex Education mantiene la capacità di parlare a fasce piuttosto ampie di pubblico, alimentando il dibattito sull’educazione sessuale degli adolescenti. Se le idee reazionarie delle istituzioni sono state già superate dalla Storia, ai Post-Millennials tocca il compito di riempirne le lacune.

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