Venice Immersive, nella factory del futuro

(dell’inviata Alessandra Magliaro) Pochi minuti per arrivare
alla riva opposta e dall’ingresso dell’isola del Lazzaretto
Vecchio di fronte al Lido di Venezia e subito una ventata di
aria nuova ti spiazza. L’edificio è più che antico, da ricovero
per i pellegrini di ritorno dalla Terra Santa nel 1250 a
ospedale per curare i malati di peste nel 1400, ma dentro c’è il
nuovo che avanza e a giudicare dal via vai internazionale del
primo giorno di apertura, incluso Willem Dafoe ad esempio,
l’interesse c’è. E’ Venice Immersive, la sezione parallela alla
Mostra del cinema di Venezia interamente dedicata ai media
immersivi e include tutti i mezzi di espressione creativa XR –
Extended Reality: video 360° e opere XR di qualsiasi durata,
incluse installazioni, anche sensoriali, e mondi virtuali. Una
nicchia per nerd del settore? Un po’ non si può negare ma
colpisce la quantità di stranieri in circolazione in queste
sale. 63 progetti da 25 paesi, di cui 26 in concorso (19 in
prima mondiale), 30 Fuori Concorso, di cui 10 Best of già
presentati in altre manifestazioni. Ma al di là dei numeri,
11mila presenze nella scorsa edizione, c’è un fermento creativo
palpabile, con alcune novità di grande rilievo. A cominciare dal
debutto del progetto “What if… an immersive story”, con il
visore Apple Vision Pro prodotto da Disney+ sull’universo
Marvel: una chicca per amanti del mondo Marvel che non è nel
futuro ma già qua presente nei paesi in cui il visore è già in
commercio. Colpisce in questo caso la complessità della
produzione, oltre 400 persone lo hanno realizzato, e la resa
interattiva e tridimensionale. E’ l’esempio anche pop di una
tendenza, quella della realtà virtuale mista in cui lo
spettatore interagisce e può entrare nel mezzo della storia
facendone parte. Oppure c’è “Impulse: playing with reality” con
la voce narrante di Tilda Swinton in cui lo spettatore ascolta e
quasi dialoga con alcune persone reali che raccontano la loro
storia di malattia su cui l’animazione ha creato un minifilm
tridimensionale. Sono due dei vari esempi delle tante e tutte
diverse produzioni che si possono vedere a Venice Immersive.
    Dicono all’ANSA i due curatori della sezione Michel Reilhac e
Liz Rosenthal: “Questo non è il futuro del cinema come abbiamo
pensato anni fa quando cominciava la realtà virtuale, non è
semplice innovazione ma una nuova forma di arte che mescola
cinema, teatro, game. Statisticamente è ancora una nicchia ma il
mercato sta crescendo e con esperienze davvero nuove e diverse.
    L’accesso è il problema da superare ma stanno arrivando visori
in commercio di grandi marchi che probabilmente sbloccheranno il
mercato”. E poi c’è una novità sociale di cui ancora si è
parlato poco: “questi film – performance – in realtà virtuale,
amati dai giovani ovviamente, stanno avendo una grande
applicazione nei luoghi, come le case di riposo ad esempio, in
cui persone che magari non sono più in grado di fare vita
sociale riescono a guardare fuori, a viaggiare. Inoltre –
spiegano Reilhac e Rosenthal – stanno nascendo anche dei social
ad hoc come VRchat, una piattaforma che consente con avatar e
visore di dialogare con altri”. Insomma siamo ad una svolta
secondo i due esperti, per cui da visione individuale, cosa che
è sempre stata criticata rispetto all’esperienza di realtà
virtuale, ora si va verso una maggiore condivisione sociale”.
    Alla base di tutto, sostiene Leonardo Lami (studio producer di
Anagram, che ha prodotto il progetto Impulse), un giovane
italiano che a Londra si occupa di queste esperienze di Vr, “c’è
sempre la narrazione, lo storytelling e la realtà immersiva,
sempre più coinvolgente, ha effetto in base alla potenza della
storia che racconti, come per tutte le forme di arte”. Ad
animarla è una comunità internazionale: dalla Cina a Singapore,
da Londra a San Francisco, Italia inclusa la realtà immersiva è
ormai una nuova palestra di creatività e di professioni.
   

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