lunedì, 25 Novembre 2024
Istat, sesso sempre più precoce ma cala il ricorso agli aborti
L’attività sessuale tra i giovani inizia sempre prima e coinvolge un numero maggiore di partner. “Questa trasformazione, associata al rinvio della maternità, lascia alla donna la gestione di numerosi anni (circa 12) durante i quali deve limitare il rischio di gravidanze indesiderate”. Nonostante ciò, “il ricorso all’aborto è in costante diminuzione”, tanto che tra il 1980 e il 2022 è calato del 68 per cento, passando da 208 mila a poco più di 65 mila.
Quindi “non sembra essere utilizzato come mezzo per limitare le nascite, piuttosto come extrema ratio”. É quanto emerge dal rapporto dell’Istat “L’interruzione volontaria di gravidanza in un’ottica generazionale”.
Gli ultimi dati del 2022 riportano che il 21,6 per cento dei ragazzi e il 18,4 per cento delle ragazze dichiara di avere avuto il primo rapporto sessuale completo prima dei 16 anni. Con l’utilizzo di metodi contraccettivi sempre più efficaci, in particolare la pillola d’emergenza il cui utilizzo è cresciuto in Italia, “le donne riescono a raggiungere parzialmente l’obiettivo di ridurre le gravidanze indesiderate ma c’ è ancora strada da fare per parlare di una vera e propria rivoluzione contraccettiva”, precisa l’Istat. In particolare, rispetto alla pillola del giorno dopo c’è stato un incremento delle vendite (+79 per cento) dal 2015 al 2018, grazie all’eliminazione dell’obbligo di prescrizione sia per le maggiorenni sia per le minorenni.
Resta il problema dell’obiezione di coscienza: negli ultimi anni la percentuale di medici obiettori è diminuita e nel 2021 si ferma a 63,4 per cento. Sappiamo che il numero di interruzioni volontarie di gravidanza si è invece ridotto in maniera considerevole: tra il 2005 e il 2021 si è più che dimezzato. “Questo non può che avere ridotto il carico di lavoro dei ginecologi non obiettori”. Tuttavia, si legge, “criticità maggiori risultano più diffuse nelle regioni del Centro e del Sud del Paese, sebbene in solo tre strutture viene superato il numero di 10 aborti settimanali per ginecologo: una si trova in Abruzzo, una in Campania e una in Sicilia”.
Istat, lento adeguamento delle regioni sull’aborto farmacologico
Nel 2022, per la prima volta, l’aborto farmacologico, ovvero basato sull’assunzione della pillola Ru486, ha superato la tecnica chirurgica. E ormai può essere eseguito anche in regime ambulatoriale. Si osserva quindi un “lento adeguamento alle disposizioni del ministero da parte delle regioni”, che tuttavia “dovrebbero migliorare e facilitare l’accesso al servizio a tutte le donne”. Lo rileva l’Istat nel rapporto “L’interruzione volontaria di gravidanza in un’ottica generazionale”.
Una circolare del ministero della Salute emanata il 12 agosto 2020 ha cambiato le modalità di esecuzione dell’aborto farmacologico in Italia allungando i tempi di attuazione, che non deve più essere entro la settima settimana di gestazione, bensì entro la nona. Inoltre, può essere eseguito, oltre che in regime ospedaliero, anche presso strutture ambulatoriali pubbliche attrezzate.
“Nonostante la circolare sia stata emanata nel 2020, sono ben poche le regioni che hanno iniziato a offrire l’aborto farmacologico in ambulatori o consultori. Nel 2020 solo la Toscana e solo negli ambulatori. Nel 2021 si aggiunge il Lazio con sette strutture. Nel 2023 si è affiancata l’Emilia-Romagna con 14 strutture (cinque ambulatori e nove consultori). Nel 2024 (indagine in corso) la Provincia autonoma di Trento ha comunicato l’apertura di 10 punti nei consultori che dovrebbero offrire l’aborto farmacologico mentre l’Emilia-Romagna ha fornito una lista di 16 strutture, il Lazio di 15 e la Toscana di 23.
Altro nodo sono proprio i consultori, i luoghi deputati a fornire informazioni sulla salute della donna. Dall’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, spiega il rapporto Istat, emerge “la presenza di pochi consultori rispetto ai bisogni della popolazione”: dovrebbero esser per legge uno ogni 20 mila abitanti, invece, a livello nazionale nel 2021 “se ne contano quasi uno ogni 30 mila”. E solo cinque sono le regioni che rispettano lo standard raccomandato: Valle d’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Emilia-Romagna, Umbria e Basilicata.
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