domenica, 24 Novembre 2024
Almodovar e Delpero, eutanasia e radici a Venezia
(dell’inviata Alessandra Magliaro) Abito doppiopetto rosa con
una lunga foglia d’oro sul revers per Pedro Almodovar stasera
sul red carpet di Venezia 81 per l’anteprima mondiale in
concorso del suo film La stanza accanto con Tilda Swinton e
Julianne Moore. Un look gioioso distante dal film che nonostante
uno stile insolitamente imploso e asciutto ha commosso gli
spettatori alla Mostra del cinema con la storia di una malata
terminale di cancro che sceglie l’eutanasia per dire addio alla
vita, chiedendo ad una sua fedele amica di stare ‘nella stanza
accanto’ quando accadrà. La presidente della giuria Isabelle
Huppert ha abbracciato il regista spagnolo sul red carpet con
affetto, mentre le due protagoniste Swinton e Moore (in abito
tutto dorato) firmavano autografi. Un colpo d’occhio
coloratissimo che resterà tra gli scatti più belli di Venezia
81.
La stanza accanto, al cinema dal 5 dicembre con Warner è uno
dei film del giorno a Venezia 81. L’altro, con una accoglienza
sentita e una decina di minuti di applausi, è l’italiano
Vermiglio di Maura Delpero, un film ‘alla Olmi’, che evoca
l’Albero degli zoccoli, una storia di radici, comunità e destini
ambientata in un piccolo paesino della Val di Sole nel 1944, con
facce autentiche, attori perlopiù non professionisti e uso del
dialetto. Il film uscirà in sala dal 19 settembre con Lucky Red.
I due film del concorso nel sesto giorno di Mostra che ha
visto protagonisti anche il regista australiano Peter Weir,
l’autore dell’Attimo Fuggente, di Picnic ad Hangig Rock e The
Truman Show, premiato dall’attore Ethan Hawke con il Leone alla
carriera e l’ultraottantenne regista francese Claude Lelouch con
il 51/o suo film, Finalement, una storia di solitudine e burnout
della vita, presentata fuori concorso (“la curiosità mi tiene
vivo, prima del ritiro c’è tempo per un altro film”).
E Seydou Sarr, un anno dopo, è tornato al Lido dove il
viaggio mondiale, fino agli Oscar, di Io Capitano di Matteo
Garrone è cominciato: “Non sono cambiato come persona – ha detto
– il mio sogno è sempre quello di fare il calciatore”, ha detto
il giovane senegalese che nell’ambito delle Giornate degli
Autori ha presentato il film documentario Seydou – Il sogno non
ha colore di Simone Aleandri, realizzato da Rai Cinema con la
Lega calcio serie A e parte di un programma di lotta al razzismo
nel calcio.
“È difficile parlare della morte – ha detto al Lido Almodovar
alla prima mondiale della Stanza Accanto -. Io l’idea che
qualcosa di vivo debba morire non l’accetto, sono forse
infantile, immaturo anche se poi la morte è dappertutto, basti
pensare alle guerre che ci circondano”. Nel film, tratto dal
romanzo ‘Attraverso la vita’ di Sigrid Nunez, il primo in
inglese per il grande autore spagnolo, Ingrid (Moore),
scrittrice di romanzi viene a sapere che Martha (Swinton), ex
reporter di guerra, che non vede da tempo, è una malata
terminale di cancro e la va a trovare. Le due antiche amiche si
ritrovano in confidenza e malinconia a parlare del passato,
della vita di successi avuti e Martha racconta a Ingrid del
dolore per la incomunicabilità con la figlia avuta da
adolescente e di sentirsi per questo una madre imperfetta. Senza
voglia di affrontare una nuova cura sperimentale e contraria ad
ogni retorica sulla ‘lotta’ dei malati ‘per sconfiggere’ il
cancro chiede a Ingrid di aiutarla nell’eutanasia (ha comprato
la pillola giusta sul dark web). Per farlo andranno insieme in
una meravigliosa villa isolata tra i monti a due ora da New
York. “È un film a favore dell’eutanasia – ha detto Almodovar –
la cosa terribile è che queste due donne devono comportarsi come
delinquenti per portare avanti il loro progetto. In Spagna noi
abbiamo una legge che permette l’eutanasia, una legge che
dovrebbe però esistere in tutto il mondo”. Il film mette al
centro “una donna agonizzante, malata terminale, ma in un mondo
altrettanto agonizzante” ha concluso scagliandosi contro i
negazionisti del cambiamento climatico e gli odiatori razzisti.
È una omelia montanara Vermiglio, aria rarefatta, natura
protagonista anche nel cuore dei personaggi durante il passare
delle stagioni. C’è l’imprevisto a scombinare le cose nel
paesino nel 1944, quando il soldato disertore Pietro (Giuseppe
De Domenico) che si è rifugiato lì, fa innamorare Lucia (Martina
Schrinzi), la figlia del maestro Cesare (Tommaso Ragno) che
resta incinta. Sembra qualcosa di lontano, che riguarda il
passato, ma la regista preferisce spiegare Vermiglio nelle due
direzioni, di ricerca personale delle sue origini e di
universalità dei temi che riguardano la sfera dei sentimenti, “seguiamo le vicende di Lucia, il suo innamoramento per lo
straniero Pietro, il tempo sospeso in cui attende notizie e
trovo che siano quelle di tutti i tempi. Prima una lettera, una
telefonata, adesso un whatsapp ma è lo stesso”. Vermiglio nasce “da un moto dell’anima, legato ad un momento delicatissimo della
mia vita, la morte di mio padre”. E dunque la storia di
Vermiglio unisce il particolare e l’universale, uno spazio tempo
alla fine della seconda guerra mondiale quando l’Italia ritrova
la pace e questa famiglia in questo paesino scopre la guerra in
seno”.
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