domenica, 24 Novembre 2024
Craig gay, ‘l’immagine macho? Sfido me e il pubblico’
(dell’inviata Alessandra Magliaro) Preceduto dalla fama di
film ‘scandalo’, ad alto tasso di sesso gay, come da estrazione
letteraria del romanzo di William S. Burroughs, si svela oggi al
pubblico della Mostra del cinema di Venezia il nuovo film di
Luca Guadagnino, Queer, con l’ex James Bond Daniel Craig nei
panni di uno scrittore expat americano nella Città del Messico
sordida degli anni ’50, dipendente da sesso e oppiacei, che
perde la testa per il giovane Eugene Allerton (Drew Starkey), un
incontro che diventa attrazione fatale.
“Volevamo che sembrasse reale, toccante, naturale anche se
sappiamo che niente di ciò che accade sul set è intimo, decine
di persone ti guardano. E così per rompere la tensione abbiamo
ballato, poi il resto è arrivato. Drew è un attore meraviglioso,
fantastico, e noi ci siamo fatti una risata. Abbiamo cercato di
renderle divertenti” dice Craig sulle scene di sesso con
Starkey. Archiviato il tema sesso si parla di tutto il resto,
della ricostruzione dell’epoca, con costumi meravigliosi, e
della storia raccontata da Burroughs (in Italia pubblicato da
Adelphi nel 1985 con il titolo Checca) che da anni e anni
Guadagnino voleva far diventare film. Con una produzione
importante, girata in parte a Cinecittà, realizzata dallo stesso
regista con la sua società Frenesy e da Lorenzo Mieli per The
Apartment, il film Fremantle sarà, dopo il passaggio a Venezia
81 in cui è in gara per il Leone d’oro, in sala in Italia con
Lucky Red.
“Quando lessi il libro di William Burroughs avevo 17 anni,
abitavo a Palermo e volevo cambiare il mondo con il cinema. Quel
romanzo ha segnato la mia adolescenza, ne ho cercato i diritti
per anni, poi ho avuto la fortuna di lavorare con Justin
Kuritzkes in Challengers e parlare di nuovo del romanzo con lui.
Abbiamo deciso di tentare: i diritti di trasposizione erano
disponibili ed è stata una gioia, il sogno di una vita si
avverava. Questo ha una morale che vale per tutti: non bisogna
mai smettere di insistere su ciò che si vuole”, dice il regista
di Chiamami col tuo nome all’ANSA. Guadagnino è un conoscitore
di Burroughs, con Kerouac tra i padri letterari della Beat
Generation. “Queer, più di Pasto Nudo ad esempio, è il mio
preferito, ha questa forma stupenda, picaresca, con un
protagonista che gira la notte, va nei bar, parla di continuo,
intrattiene, è comico, buffo, tragico fragile, nudo e poi bam!
incontra qualcuno che lo incontra a sua volta, ed è come se
questo incontro fosse inevitabile, inesorabile”.
Al centro di questa avventura, che da Città del Messico,
dalla suburra della comunità degli americani espatriati,
omosessuali, bevitori, gaudenti si sposta in Sud America alla
ricerca della yage, la radice che dà la telepatia, c’è però la
grande solitudine allucinata e tossica del protagonista Craig.
“Il filosofo György Lukács diceva ‘essere uomini, essere umani
significa essere soli’, e la mia amica Tilda Swinton mi ha
sempre detto ‘we love and die alone’, amiamo e moriamo in
solitudine”.
Teme un’etichetta di scandalo per Queers (alla prima stampa
anche qualche solitario buu) ? “Ha una complessità di
significati diversi rispetto ad oggi. All’epoca di Burroughs,
Queer voleva dire checca, frocio un termine denigratorio oppure
persona strana, diversa. Moralmente? Non lo so, non mi sono mai
posto i problemi della morale e non mi interessa. Queer per me è
una profonda radicale storia d’amore che ci riporta alla
condizione terminale di essere umani, cioè che siamo soli”.
Non è un film sugli anni’50 (peraltro ricostruiti con lo
scenografo Stefano Baisi, il costumista Jonathan Anderson) “ma
sull’universo di Burroughs, ricreato spero nel modo più profondo
e dettagliato possibile. E se l’immagine estetica del film
piace, è merito suo”. Guadagnino ha cercato Daniel Craig come
protagonista (“divino, attore sublime, magnifico anche a
teatro,”) convinto del suo rifiuto, “invece una settimana dopo
faceva il film”. E così il protagonista della saga di James Bond
è diventato Lee, l’alter ego dello scrittore. “È la prova della
mia vita dice il direttore della Mostra Barbera? Allora la mia
carriera è andata! Ma se finisce qui è meglio che altrove”, ha
scherzato Craig con l’ANSA. Da anni “volevo lavorare con
Guadagnino e quando si è presentata l’opportunità l’ho colta al
volo”. Dice Craig di non avere paura di spiazzare il pubblico
con un personaggio omosessuale dopo un macho come Bond: “non ho
alcun controllo sulla mia immagine, scelgo di interpretare ruoli
che rappresentano una sfida, per me stesso e per il pubblico,
cercando di essere il più interessante e creativo”.
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