Si torna a parlare di Salario minimo, battaglia sindacale e della sinistra ignorata da Draghi

Torna di moda il salario minimo. Ciclicamente infatti l’argomento viene tirato fuori dal cilindro, tipicamente dalla sinistra, senza poi concludere nulla. Non è infatti la prima volta che si parla di salario minimo.

L’idea era stata avanzata da Matteo Renzi (2018) quando era Segretario del Pd e poi anche da Nicola Zingaretti nel 2019. In entrambi i casi la questione, così tanto fondamentale per il futuro del Paese, è finita nel dimenticatoio in tempi da record. Nel 2020 la pandemia, ha evidentemente scoraggiato i fautori di questo pensiero, ma adesso che la questione Covid sembra essere maggiormente sotto controllo si è tornati alla carica. E anche questa volta sembrerebbe che il copione sia stato messo in scena senza troppe variazioni.

Maurizio Landini, Segretario della Cgil, durante un evento organizzato dal sindacato a Bologna, ha detto come le conseguenze economiche della pandemia da Covid rischiano di provocare una diminuzione dei salari, e dunque è necessario trovare dei sistemi che garantiscano i lavoratori. E uno di questi è ovviamente il salario minimo. Sulla stessa linea di pensiero si sono esposti anche Enrico Letta, Segretario del Partito democratico e Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 stelle.

Secondo i due esponenti politici l’idea del salario minimo non solo è condivisibile ma è anche uno degli obiettivi della loro politica economica. Sempre durante l’evento di Bologna della Cgil è intervenuto, dando il suo appoggio alla proposta di Landini, anche il Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: «l salario minimo per i giovani è determinante, così come anche per le donne. Durante la pandemia le categorie maggiormente vittime sono state giovani e donne. Nella carriera lavorativa delle donne, quelle con figlio rinunciano a cinque mila euro in media di stipendio rispetto a chi non li ha avuti. Le vittime di salari bassi sono principalmente giovani e donne». Aggiungendo poi come al giorno d’oggi ci sono più di «due milioni di lavoratori che lavorano a sei euro all’ora lordi. Ci sono riders che corrono e fanno incidenti anche mortali e guadagnano quattro euro all’ora. Questo non è tollerabile. Non è tollerabile in un’economia avanzata».

Al coro di quelli che vogliono un salario minimo si aggiunge anche Rossella Accoto, sottosegretario al Lavoro e alle politiche sociale. A Radio24 oggi ha infatti spiegato come la misura è «una norma di equità sociale che innanzitutto ci viene richiesta dall’Europa (in Ue al momento però è solo in corso un dibattito sulla questione, dato che la Commissione a dicembre 2020 aveva presentato una proposta per introdurre dei salari minimi adeguati in tutto il territorio dell’Unione). Non uno ma ben due commissari europei hanno sottolineato la necessità di arrivare entro pochi mesi all’approvazione della direttiva europea sul salario minimo affinché tutti i paesi membri si dotino di questo strumento di equità sociale. L’Italia, purtroppo, è uno dei sei paesi europei che non hanno ancora questa soglia minima dei salari è ora di fare la nostra parte».

Questa esigenza improvvisa del salario minimo non viene però accolta favorevolmente da tutte le forza in campo. Secondo Luigi Sbarra, Segretario generale Cisl bisogna dare spazio e continuare con la contrattazione collettiva nazionale che in Italia è «molto strutturata». Sbarra spiega, in un’intervista a Unomattina, come «la retribuzione del lavoratore non è fatta solo di un salario minimo, ci sono voci che si aggiungono, tredicesima, quattordicesima, ferie, maggiorazioni. Questo da’ la retribuzione complessiva e questi istituti li garantisce solo il contratto, non la legge. Ecco perché abbiamo la posizione di rafforzare il sistema contrattuale italiano perché ha dato risultati importanti negli anni».

Sulla stessa linea di pensiero anche il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri: «la direttiva europea dice che si applica nei Paesi dove non c’è il contratto nazionale e ha l’obiettivo di allargare la contrattazione. Noi siamo per un salario minimo che coincide con i minimi contrattuali. Al netto della propaganda rischia di essere soltanto una paga oraria che mette in discussione tutto quello realizzato finora». Ma non solo perché tra chi pensa che il salario minimo non sia una grande idea c’è anche il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che ha ben spiegato, durante l’assemblea degli industriale della provincia di Varese, come in Italia non serve introdurre questa misura ma piuttosto agire sui contratti in tutti quegli ambiti dove il salario è effettivamente basso: «Non nascondiamo che ci sono alcuni settori dove le paghe sono molto basse. Allora è giusto intervenire su questi casi». La strada che dunque si dovrebbe seguire «è quella di inserire i contratti per quei settori che ora sono sprovvisti anche perché se io guardo quello che è il salario minimo di cui oggi si parla, cioè i 9 euro lordi, e prendo il contratto collettivo dei metalmeccanici che quello che si prende a riferimento, il terzo livello, che è quello che si prende normalmente a riferimento come benchmark, è di 11 euro. Se prendo in esame anche il livello più basso è di 10 euro. Quindi noi lo abbiamo già, e gli stessi sindacati in questi giorni dicono che non è questa la strada perché il rischio è quello della fuga delle aziende dalla contrattazione collettiva. Ita (nuova società Alitalia) ne è un esempio».

In questi giorni dunque, forze politiche e sociali si stanno affrontando a colpi di dichiarazioni, senza però fare i conti con chi effettivamente può decidere di introdurre o meno questa misura: Mario Draghi. Il Premier, infatti non sembrerebbe essere minimamente interessato al tema. Tanto che durante il suo intervento, di settimana scorsa, presso Confindustria, non ha mai accennato all’introduzione del salario minimo, né sembrerebbe che l’argomento rientri, al momento, tra le sue priorità per la politica economica del Paese. Al posto dunque di perdere tempo dietro vecchi cavalli di battaglia le varie forze politiche potrebbe invece concentrarsi su argomenti più attuali e impattanti per la società, come la riforma fiscale, che guarda caso ha tra le sue priorità anche il tema del lavoro.

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