Le atrocità commesse dai soldati amhara in Tigray

«Filmati trovati nei cellulari di militari amhara morti». Con questo messaggio laconico, una fonte di Panorama in Tigray ci ha inviato due video di civili barbaramente trucidati. Sono stati girati lo scorso agosto nella zona di Humera, territorio tigrino nel Nord dell’Etiopia al confine con il Sudan da mesi occupato da soldati amhara. I video sono stati rinvenuti nei cellulari di due militari, morti durante uno scontro con le Tigray Defense Forces. I telefonini sono stati consegnati alle autorità tigrine, che poi hanno passato i raccapriccianti video al nostro contatto. Dopo aver avuto la conferma da fonti missionarie che sono autentici, li abbiamo montati in un unico filmato, togliendo le immagini più crude.

Questi video aggiungono un tassello al puzzle tigrino, una spietata pulizia etnica che assume ogni giorno di più le sembianze di un genocidio. A usare la pesantissima parola «genocidio» finora sono stati i tigrini. Nelle ultime settimane, però, il termine ha iniziato a essere pronunciato da qualche giornalista e da più di un politico. «Questo conflitto contiene le caratteristiche della pulizia etnica e del genocidio» ha dichiarato l’8 settembre il membro del Parlamento britannico Helen Hayes durante un dibattito a Westminster sulla crisi nel Tigray.

In Italia le ha fatto eco Elisabetta Trenta, l’ex ministro della Difesa, che pure il 10 aprile 2019 aveva firmato l’accordo militare bilaterale con il governo etiope. Il 29 settembre, Trenta ha twittato: «Questa guerra ha tutte le caratteristiche di un genocidio e in tutto ciò l’Italia non può restare a guardare».

Da quando, lo scorso novembre, il governo etiope ha lanciato un’offensiva militare, la regione nel Nord dell’Etiopia è sconvolta da un devastante conflitto, con i soldati governativi e i loro alleati che combattono contro le forze tigrine. Il governo etiope sostiene che si tratta di un’operazione di «law-enforcement», cioè di applicazione della legge. Ma la realtà sul terreno è ben diversa, come mostrano le immagini ricevute da Panorama.

Il primo video è apertamente truculento. La scena si svolge in una zona isolata, su un altopiano arido. Mostra i cadaveri di nove civili mentre vengono bruciati da una quindicina di soldati amhara, che parlano amarico. Armati ed equipaggiati di tutto punto, indossano le uniformi dell’esercito federale etiope. La scena è talmente sanguinolenta che sembra surreale: crani spaccati, arti maciullati, cervelli spappolati…

Incuranti dell’odore della carne umana che brucia, i militari non sembrano scomporsi. È come se non fossero consapevoli del fatto che le nefandezze che stanno compiendo li potrebbero portare a essere processati per crimini di guerra. Anzi. Un giovane soldato con i baffetti mostra in camera il suo volto, senza neanche cercare di nascondersi. Un altro dice che quello che stanno facendo è solo l’inizio: «Questo non è niente. Sono solo nove persone. Deve continuare». Ridacchiando, un altro commenta: «Che strana carne!». Poi si rivolgono ai morti, deridendoli: «Ti conveniva la pace e mangiare arando». Ma tanta sfrontatezza forse nasconde anche altro. «Il lavoro che abbiamo fatto è giusto! Questa è la giustizia» dice un soldato, cercando di auto-convincersi che quel massacro ha una giustificazione.

L’orgia di sangue viene interrotta da un paio di soldati con un barlume di razionalità. Consapevole dei rischi che stanno correndo, uno dice: «Questo è un video… Attento, ché poi esce fuori il video». E l’altro: «Non si fanno i video agli amici. È pericoloso». E un altro ancora: «Non fare i video ai soldati».

Il secondo video in apparenza è meno orripilante, ma altrettanto crudele. Anche in questo caso si vede un gruppo di giovani uomini armati. Anch’essi parlano amarico e indossano la mimetica dell’esercito etiope. Si trovano su un terreno pietroso, che ha una forte rassomiglianza con le rive del fiume Tekeze.

Un tigrino, più morto che vivo, giace a terra con la testa spaccata e il collo insanguinato. Un soldato gli sta legando le braccia dietro la schiena con del filo elettrico giallo. Il poveretto sa che cosa lo aspetta. Essendo un abitante della zona di Humera, è a conoscenza del fatto che quel filo è lo stesso che viene usato dai soldati amhara per legare i civili prima di lanciarli in acqua. Mentre provvede a legarlo, il suo carnefice inizia a fargli delle domande. Chi sta girando il video con il cellulare si avvicina. E sopra il corpo della vittima compare la sua ombra.

«Dove hai comprato le medicine?» chiede il soldato al tigrino, mentre provvede a legarlo ben stretto. «Quali medicine?» risponde il poveretto, che non ha neanche la forza di ribellarsi. «Quelle che hai in mano». Risposta: «Non ne ho». Il soldato diventa strafottente: «Sai che vuol dire Wollahi (giuro su Dio, ndr)?». «Sì» replica con un filo di voce. Poi gli chiede: «Sei musulmano?». Il tigrino risponde di sì. «Bravo. Allora sei religioso» lo incalza il soldato, con tono irrisorio. E poi gli chiede: «Quanti soldi hai? Da dove li hai presi?». Ormai rassegnato, il tigrino non risponde neppure. Ma il soldato continua a torturarlo: «Stavi con Getachew Reda (il portavoce del Tplf, ndr)?». Il pover’uomo riesce a malapena a dire: «No».

A questo punto entra in scena un altro aguzzino, che ordina: «Legagli anche le gambe». E inizia a prendere in giro lo sventurato tigrino, che evidentemente era un falegname. E gli chiede: «Falegname, quanti edifici hai costruito?». La vittima non riesce neanche più a parlare. Il video si conclude con il carnefice che, imperterrito, lo deride: «Sei un leone. Sei bravissimo».

Il secondo filmato si interrompe qui. Chi lo ha passato a Panorama è convinto che il povero civile sia poi stato gettato nel fiume Tekeze (che in Sudan si chiama Setit), dove da luglio a oggi sono stati rinvenuti almeno un centinaio di cadaveri, legati con fili elettrici gialli.

Già, i fili gialli… Sono quei cavi elettrici a incriminare i soldati amhara. Secondo testimonianze raccolte dalla Cnn, i cavi ritrovati sui cadaveri vengono dalla città di Humera. Da mesi l’emittente americana segue la pulizia etnica in Tigray che, come ha detto il 5 settembre un suo anchorman, ormai «ha tutte le caratteristiche di un genocidio, come definito dalla legge internazionale».

La mappa della città di Humera. In alto a sinistra, i magazzini di materiale elettrico da cui provengono i cavi gialli.

Quel giorno, un’investigazione a cura della giornalista Nima Elbagir ha rivelato prove di «torture, detenzioni di massa ed esecuzioni» in Tigray. E ha ricostruito l’origine dei famigerati fili gialli. I cavi con cui sono trovati legati i cadaveri nel fiume Tekeze provengono dal magazzino di materiale elettrico che sorge nel Nord della città di Humera, guarda caso vicino al corso d’acqua. Nella città al confine con il Sudan, la giornalista investigativa della Cnn ha scoperto la presenza di «sette campi di prigionia per tigrini che ospitano migliaia di detenuti».

Come se non bastasse, a patire le pene di un vero inferno in terra non sono solo i poveretti che vengono massacrati. Ci vanno di mezzo anche i loro parenti, spesso costretti ad assistere agli eccidi. È il caso di un uomo che, secondo quanto riferiscono le nostre fonti, ha dovuto guardare la scena dei cadaveri bruciati oggetto del nostro video, fra i quali c’era un suo parente. «Quell’uomo è letteralmente impazzito» racconta la fonte di Panorama. «Passa giorno e notte a urlare in preda agli incubi: “Lo bruciano”. “L’odore della carne che brucia”. “Li stanno bruciando”».

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