sabato, 23 Novembre 2024
Verso l’Oscar docu su abusi dei preti sui bambini nativi indiani
(di Alessandra Magliaro) C’è una storia poco nota, almeno in
Italia, e che punta dritto all’Oscar di quest’anno per il
miglior documentario avendo tutte le carte tematiche e di
qualità cinematografica. Ha già fatto breccia al Sundance dove
ha vinto per la migliore regia e ora smuove le coscienze in sedi
istituzionali come il Senato americano che gli ha dedicato una
proiezione speciale. Presentato da National Geographic si vedrà
su Disney+ entro l’anno e in anteprima proiezione speciale alla
Festa del cinema di Roma il 22 ottobre. E’ Sugarcane, il film di
Julian Brave NoiseCat ed Emily Kassie, che racconta emozionando
una storia di abusi lunga quattro generazioni nella missione
cattolica di Saint Joseph, vicino Williams Lake in British
Columbia, Canada.
E’ una storia simbolo di razzismo bianco, dell’annientamento
culturale dei nativi americani, a colpi di indottrinamento,
divieti di tradizioni e linguaggio e sottomissioni fisiche con
la cifra religiosa, cattolica, e le violenze sessuali dei
sacerdoti sui bambini e le bambine che vivevano lì strappati
alle famiglie per ‘educarli’. Abusi sessuali con in più il
raccapriccio delle gravidanze con i feti buttati
nell’inceneritore per sbarazzarsi del problema.
Papa Bergoglio in Vaticano ha ricevuto alcuni testimoni e si è
scusato ed è anche andato in “pellegrinaggio di penitenza”
(parole sue) nel luglio del 2022 in quei luoghi ma ai capi delle
comunita’ autoctone First Nations non basta perchè quello che
sta venendo fuori di un’epoca di Chiesa colonialista e
complicità governative mette i brividi.
Ma Sugarcane è anche un film nel film. “Da reporter per The New
Yorker e New York Times ho affrontato vari temi – ha detto
all’ANSA a Roma il co-regista Julian Brave Noisecat – e quando
la collega di giornalismo investigativo Emily Kassie mi ha
proposto di realizzare un documentario sui nativi indiani in
Canada ho accettato senza sapere che il film sarebbe diventato
per me qualcosa di molto personale”.
Sugarcane, prodotto dal giovane candidato all’Oscar Kellen
Quinn, segue con il ritmo dell’inchiesta una sorta di
auto-indagine che dal 2021 con tenacia stanno portando avanti
alcuni sopravvissuti, mettendo insieme dolorose testimonianza,
scavi (per trovare fosse comuni di bambini), foto, reperti,
tutto quello che la stessa comunità dei nativi indiani riesce a
tirare fuori per documentare che le voci su questi fatti sono
verità nascoste. Uomini e donne tenaci che non vogliono
dimenticare quello accaduto a loro stessi e ai loro familiari e
proprio durante questa indagine è emerso che il 64enne padre di
Julian che per tutta la vita ha vissuto una dipendenza
dall’alcol (come moltissimi nativi) e ha avuto un rapporto
assente con lui, è figlio dell’abuso di un prete con una
bambina, sopravvisse all’inceneritore della missione per caso e
fu adottato da una famiglia insieme ad altri 10 nativi, sette
dei quali si suicidarono. “Mai mi ero interessato a quello che
il mio paese aveva fatto ai suoi primi abitanti e via via che si
lavorava a questo film via via emergevano pezzi della mia
famiglia. La mission dove nacque mio padre Ed Archie è stata
scelta su 139 presenti sul territorio. E’ stato uno choc. Ho
cercato mio padre, sono tornato con lui su quei luoghi e quello
che era stato scoperto ha avuto la sua devastante conferma. C’è
un potere e una responsabilità in chi testimonia e in chi
documenta e Sugarcane è importante perchè a queste persone che
hanno vissuto la vita senza rispetto, diciamo loro che sono
importanti, che al mondo importa di loro”. C’è una “sofferenza
che ha bisogno di giustizia” ha dettoe ancora Julian, “Chiesa e
governo canadese continuano a rifiutare di aprire gli archivi e
tutto viene portato avanti dalla comunità”, ha aggiunto il
regista. C’è Charlene Belleau, abusata da bimba, che da 30 anni
si batte con forza, c’è Rick che da capo della comunità ha
guidato la piccola delegazione in Vaticano ed a lui, morto nel
frattempo, è dedicato il film, c’è il tenerissimo anziano
MacGrath, il cui Dna ha confermato che per metà è di sangue
nativo, per metà scozzese (figlio dell’abuso di un reverendo)
che a Roma ha avuto il coraggio di andare dai missionari oblati
di Maria Immacolata a chiedere ‘perchè?’.
I numeri di questo orrore non sono definitivi, migliaia sono le
vittime, un’intera comunità di nativi continua a vivere con
questo fardello ma se il tempo della riconciliazione è solo
iniziato, quello dell’orgoglio dell’accettazione che forse
porterà i colori orange, i cappelli con le piume e i nativi sul
palco di Hollywood la notte dell’Oscar il 2 marzo 2025 è
arrivato.
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