Dopo il voto il centrodestra torni a occuparsi di lavoro, fisco e immigrazione

I cittadini si stanno recando alle urne per rinnovare i sindaci e i consigli comunali delle città italiane. Nelle metropoli (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna) è molto probabile che si affermino i candidati del centrosinistra, alcuni già al primo e altri al secondo turno. Per la destra si profila una sconfitta netta, che era già scontata nel caso di Bologna, Napoli e Torino, tre città “rosse” e “pentastellate” negli ultimi anni, e meno in quello di Roma e Milano, per tradizione oscillanti tra destra e sinistra. Ma più della sconfitta ciò che sconcerta è il mondo con cui i partiti di destra hanno affrontato queste amministrative. Con candidati deboli o evanescenti, senza campagna elettorale, con partiti eterei e poco radicati. Quale impatto potrà avere questa sconfitta sulle leadership del centrodestra?

Si iniziano a scorgere alcuni rischi per il futuro della coalizione. Il primo è proprio l’assenza di una politica locale e metropolitana capace di mostrare qualità e vivacità. Sembra essersi spezzata la catena territorio-leadership nei partiti di destra, così la rappresentanza s’indebolisce e la qualità della classe politica scende. L’investimento sul territorio di Salvini e Meloni è quasi nullo quando invece si doveva incanalare il consenso accumulato in tante elezioni Regionali. Il secondo rischio, invece, è rappresentato dagli elettori moderati e indecisi. Nel meccanismo polarizzato e auto-referenziale delle leadership mediatiche di questi tempi questa piccola fetta di elettori viene bollata dispregiativamente come “centrista”, “liberale” e spesso incline a scendere a compromessi con la sinistra. Tuttavia, l’elettorato di Forza Italia e della galassia centrista rischia di azzoppare il risultato della coalizione di centrodestra sia a livello locale che nazionale. Sarà interessante vedere, ad esempio, quanti elettori di questa destra a Roma convergeranno su Carlo Calenda. Allo stesso modo, quando si voterà per le politiche, il 40% della somma tra Forza Italia e Lega non basterà per la vittoria, soprattutto con una legge a tendenza proporzionale.

I leader della destra dovranno essere capaci di aggiungerci un ulteriore dieci per cento per avere la sicurezza di governare il Paese. È per questo che la scelta di candidati sindaco troppo identitaria e una eccessiva polemica sulle regole di vaccini e green pass rischiano di non fare bene all’unità dell’elettorato. Salvini e Meloni devono rendersi conto che senza quel pezzo di cittadini liberali e moderati non riusciranno a governare da soli il Paese, ma dovranno giungere a compromessi con le altre forze politiche oppure ritirarsi all’opposizione. E forse dovrebbero fare dei calcoli più accurati: a destra non esistono nuovi partiti capaci di minacciare il duopolio di Lega e Fratelli d’Italia, il Movimento 5 Stelle è oramai ridotto ad un partito assistenzialista di sinistra, perché dunque schiacciarsi sempre più a destra? Che senso ha la rincorsa sull’estremo? Perché spendere due mesi per polemizzare sul green pass, cioè su una battaglia persa in partenza, e a fare distinguo bizantini sui vaccini? Un atteggiamento che ha infastidito elettori pragmatici ed interessati prevalentemente al fisco, al lavoro e alla sicurezza. Salvini e Meloni sono caduti nella trappola mediatica tesa dalla sinistra e gridare al complotto della sinistra istituzionale contro la destra di popolo non cambierà le cose.

Il terzo rischio è proprio la dialettica interna al centrodestra e le frizioni sempre più evidenti tra due leader in competizione. Salvini è al governo e perde nei sondaggi, Meloni è all’opposizione e in crescita. Le tensioni tra i due leader rischiano di innescare un processo di “marcatura a uomo” che rende indistinguibili i due partiti. Una dinamica politica comprensibile e fisiologica, ma che rischia di debilitare sia l’efficacia dell’incidenza della Lega sul governo sia di rinchiudersi tutti all’interno dello stesso bacino elettorale.

La forza del centrodestra è sempre stata la sua pluralità e la capacità di fare cartello tra elettorati diversi che avevano in comune l’avversione al progressismo e al dirigismo della sinistra. Perdere questo attributo a favore di un processo mimetico che porti alla sovrapposizione di Lega e Fratelli d’Italia, e all’emarginazione di Forza Italia, è potenzialmente un grave errore.

Da ultimo c’è la necessità di reagire alla sconfitta nei grandi centri urbani. Le grandi città hanno problematiche e sensibilità molto diverse dai piccoli Comuni e richiedono temi, personaggi e linguaggi diversi da quelli della politica provinciale. Si tratta di un elettorato mediamente più istruito, cosmopolita, che lavora quasi esclusivamente nel terziario, attento alla mobilità, alle reti, alle infrastrutture. Così come un curato di campagna non ha possibilità di fare il Papa, così un candidato che andrebbe bene per un medio Comune non può invece pretendere di affermarsi a Roma o Milano. Una lezione che andrà imparata nel prossimo futuro. Inoltre, da troppe settimane le uscite dei leader dei partiti di destra oscillano tra la questione sanitaria e la politica politicante (chi dovrà andare al Quirinale ecc). Argomenti che, in un Paese che sta tornando alla normalità, interessano relativamente al pragmatico popolo della destra. Che la sconfitta sia uno choc per tornare a parlare di fiscalità, lavoro, giustizia, imprese, immigrazione. Temi forti e sempre presenti nella società italiana, ma che sembrano dimenticati da leader oramai sopraffatti dall’agenda mediatica e ossessionati dalla pandemia.

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