sabato, 23 Novembre 2024
La difficile diagnosi di Adhd nell’adulto, il 25% tema di averla
Il disturbo da deficit di attenzione
e iperattività, noto anche come Adhd, è in genere considerato
una condizione legata all’infanzia. Ma sempre più adulti si
stanno rendendo conto che le loro difficoltà con la
concentrazione e l’irrequietezza potrebbero in realtà essere
dovute a questo disturbo non diagnosticato. Un adulto su quattro
sospetta di soffrirne, anche perché i video sui social media
hanno aumentato la consapevolezza sul problema. Ma pochissimi ne
parlano e gli esperti mettono in guardia contro l’autodiagnosi e
dal trattamento scorretto.
Si stima che il 4,4% delle persone tra 18 e 44 anni soffra
di Adhd e alcune non vengono diagnosticate fino a quando non
sono più grandi. “Molti si rendono conto, una volta che i loro
figli hanno ricevuto la diagnosi, che anche loro presentano
questi sintomi, dato che si tratta di un disturbo genetico”,
spiega lo psicologo Justin Barterian, professore presso il
Dipartimento di psichiatria e salute comportamentale dell’Ohio
State.
A indagare su questo è stato un sondaggio su 1.000 adulti
americani commissionato dall’Ohio State University Wexner
Medical Center e dal College of Medicine. Ne è emerso che il 25%
degli adulti sospetta di avere Adhd non diagnosticato. Il
disturbo infatti può essere difficile da individuare negli
adulti, perché alcuni dei sintomi sono simili a quelli di
depressione o ansia. L’iperattività è in genere meno presente
negli adulti, mentre sono più frequenti problemi di memoria.
“Alcuni – aggiunge – potrebbero avere più difficoltà a
concentrarsi o nell’organizzazione, mentre altre potrebbero
avere più difficoltà sociali, come impulsività e difficoltà a
seguire le conversazioni”. Inoltre sintomi spesso peggiorano con
stress o conflitti.
A preoccupare è però un altro dato emerso dal sondaggio:
solo il 13% degli intervistati ha condiviso i propri sospetti
con il proprio medico. “Bisogna far attenzione all’autodiagnosi”
e in caso di dubbio, confrontarsi con un esperto, perché “il
trattamento sbagliato può peggiorare invece di aiutare”,
commenta Barterian.
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