In ultimo, l’Hospice che ti accompagna nel viaggio finale

(di Francesco Gallo) Davvero duro, spesso
insopportabile, ma non privo di bellezza questo ‘In ultimo’ di
Mario Balsamo in concorso nella sezione Internazionale
Documentari del Torino Film Festival, perché il suo tema è il
fine vita, ovvero quello che accade in particolari strutture a
chi deve affrontare il viaggio più lungo e sconosciuto.
    Protagonista di ‘In ultimo’ è il medico palliativista Claudio
Ritossa che, con grande empatia, svolge il suo lavoro
nell’Hospice Anemos di Torino.
    Qui, con umanità e dedizione, accompagna i pazienti nel delicato
tratto finale della loro vita, alleggerendo il peso
dell’imminente dipartita grazie anche al sostegno spirituale che
riesce a infondere una lieve serenità.
    C’è chi piange e vuol tornare a casa, chi ha rabbia per quello
che gli è capitato e chi invece accetta quella particolare
ospitalità fatta di colloqui e antidolorifici.
    Il film segna il ritorno in concorso del documentarista Mario
Balsamo per la terza volta nella kermesse torinese (unico
regista a raggiungere questo risultato), dopo ‘Noi non siamo
come James Bond’ (vincitore nel 2012 del Premio della Giuria
presieduta da Paolo Sorrentino) e ‘Mia madre fa l’attrice’,
sempre in concorso al Torino Film Festival nel 2015 (premiato
con il Nastro d’Argento nel 2016 a Silvana Stefanini, in quanto
migliore attrice di docufilm).
    «Ho scelto la resilienza – dice Balsamo nelle sue note -, perché
l’hospice e le persone che vi lavorano e vi vivono spingono
verso tale risoluzione dell’animo. In quel luogo che accoglie i
malati terminali c’è molto di inaspettato, un pieno di cose che
ha a che fare proprio con l’esistenza. Lì più che altrove, si
percepisce la morte non in contrapposizione alla vita, bensì
come sua parte. Se ci si pensa, il termine della Corsa può
essere l’occasione per fare un bilancio della propria esperienza
terrena: cosa ho fatto di cui sono soddisfatto? Di cosa no? Che
lascio alle persone care delle mie azioni, dei miei valori,
delle mie conquiste? Chi lavora all’Anemos di Torino – conclude
il regista – non nasconde le difficoltà di operare in un
ambiente così delicato e complesso, però, al contempo, sente di
mettere a disposizione dei degenti la possibilità di una
pacificazione, per quanto tenue possa essere, con sé stessi e
con i propri cari».
   

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