Retina artificiale migliora vista di pazienti con grave malattia

Buoni risultati a un anno
dall’impianto di microchip retinici in 38 pazienti legalmente
non vedenti: l’impianto ha ripristinato la visione in questi
pazienti, consentendo loro di leggere sequenze di lettere con un
miglioramento clinicamente significativo dell’acuità visiva
misurabile mediamente in 4-5 righe del tabellone che usa
l’oculista e nei casi migliori 11-12 righe. Si tratta dei
risultati preliminari dello studio clinico PRIMAvera, su
pazienti con atrofia geografica (l’esito più grave della
degenerazione maculare senile che porta al deterioramento della
vista), ai quali è stato impiantato il sistema retinico PRIMA.
    Anticipati dall’azienda Science Corporation, i risultati
preliminari sono stati presentati in Spagna al Congresso
mondiale dedicato alla visione artificiale e alle interfacce
cervello-computer ‘Brain & Chip ’24’, da Andrea Cusumano
dell’Università di Tor Vergata, Direttore Scientifico del
progetto in Italia, in presenza tra gli altri anche di Daniel
Adams, direttore scientifico di Neuralink. I pazienti che hanno
partecipato alla sperimentazione erano incapaci di leggere e di
riconoscere i volti. Ora la loro acuità visiva è migliorata e
alcuni sono in grado di leggere testi più lunghi.
    “I risultati rappresentano una pietra miliare nel trattamento
della cecità come esito della degenerazione maculare senile” –
afferma Cusumano.
    La degenerazione maculare legata all’età, ricorda Cusumano,
colpisce in Italia almeno un milione di persone e rappresenta la
prima causa di cecità legale e ipovisione nel mondo
occidentale.
    Il microchip impiantato (PRIMA) misura meno di un terzo di un
capello, è wireless, funziona con l’ausilio di occhiali con una
mini-fotocamera integrata per acquisire le immagini e un
computer tascabile che le trasforma in un ‘disegno’ di luce. Il
microchip traduce la luce in stimoli elettrici inviati alla
corteccia visiva.
    L’uso di questa tecnologia in futuro potrebbe essere esteso
anche ad altre malattie retiniche, come la retinite pigmentosa.
    “Potenzialmente in Italia ne potrebbero beneficiare circa 20
mila pazienti, 8 milioni nel mondo” – conclude Cusumano.
   

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