lunedì, 25 Novembre 2024
La lentezza di Governo e politica su Mps ci costa 4 mld
La trattativa tra il Tesoro e Unicredit per il passaggio di mano del Monte dei Paschi di Siena è naufragata ufficialmente domenica pomeriggio: una nota congiunta ha informato dello stop ai negoziati, “nonostante l’impegno profuso da entrambe le parti”. Il punto critico, secondo quanto si è appreso, è stata l’entità dell’aumento di capitale per Mps: l’ad di Unicredit Andrea Orcel aveva stimato in 7 miliardi una cifra congrua per far sì che l’operazione avesse un impatto “neutro” sul capitale della banca, mentre il ministero dell’Economia sembrava orientato su una cifra intorno ai 5 miliardi di euro.
Non è però tutto: il matrimonio, ha spiegato il segretario generale del sindacato dei bancari Fabi, Lando Maria Sileoni, non è andato in porto “per mille motivi. Tre quarti del governo era contro l’operazione. Chiaramente c’era un problema di sovrapposizione di personale soprattutto in alcune zone d’Italia e c’era un contesto ostile all’operazione”. C’è da dire, in effetti, che la notizia è stata accolta con un generale sospiro di sollievo dalla politica, nonostante il futuro dell’istituto senese, che negli ultimi anni ha assorbito miliardi di denaro pubblico, resti quantomeno incerto. Entro la fine dell’anno, infatti, lo Stato, primo azionista di Mps con il 64%, deve necessariamente uscire dal capitale della banca, sulla base degli accordi sottoscritti con l’Europa al momento della ricapitalizzazione “precauzionale” del 2017. Da più parti viene chiesta una proroga alla scadenza, ma la richiesta, se venisse accolta, significherebbe il rischio di un nuovo aumento di capitale, nell’ordine, secondo le stime, di almeno 2,5 miliardi di euro. Denaro che dovrebbe arrivare, ovviamente, in primis dalle casse pubbliche.
La crisi della banca più antica del mondo è iniziata nel 2008, quando Monte dei Paschi acquisì Antonveneta per 9 miliardi da Banco Santander, che però l’aveva pagata poco più di 6 miliardi. L’acquisizione, unita a una serie di operazioni finanziarie discutibili, ha portato l’istituto sull’orlo del fallimento, tanto da richiedere tre grossi aumenti di capitale: uno nel 2011, per circa 3 miliardi, uno da 5 miliardi nel 2014 e un altro da 3 miliardi nel 2015. Interventi che non sono bastati a risollevare le sorti dell’istituto: così nel 2017 lo Stato è intervenuto con una ricapitalizzazione, definita appunto “precauzionale”, da 5,4 miliardi di euro, assumendo il controllo della banca e prendendo l’impegno di rivendere la quota sul mercato entro la fine del 2021.
Con il naufragio della trattativa con Unicredit altre ipotesi di fusione appaiono improbabili, almeno entro la scadenza prevista dall’Ue, ma la politica sembra voler prendere ancora tempo. Così Letta: “Da una parte c’è bisogno di avere più tempo nel rapporto con l’Europa e dall’altro di avere più opzioni in campo. Credo che ci siano le possibilità di farlo”, ha spiegato il segretario del Pd, aggiungendo: “Ho l’impressione che Unicredit pensasse di partecipare a una svendita e invece il ministro del Tesoro è stato corretto, aveva preso impegni di valorizzazione del grande patrimonio di esperienza e legame con il territorio che lì dentro c’è. Parliamo del marchio più antico di banca che c’è nel mondo”. Parole che ricordano da vicino la vicenda Alitalia, quando si parlava di tutelare il marchio e l’italianità della compagnia di bandiera, con le conseguenze che tutti conosciamo. A rincarare la dose è stato il presidente della Regione Toscana, il dem Eugenio Giani, che ha parlato di “notizia positiva” e della possibilità di un percorso “che dia autonomia al Monte”, con il “mantenimento del ruolo in Toscana, ma soprattutto mantenimento del brand e dell’occupazione”. Da parte sua la Lega ha fatto notare le responsabilità del Pd nella storica crisi dell’istituto senese. “Che soluzione propone l’onorevole Letta, eletto pochi giorni fa proprio a Siena? Mesi, anni, miliardi e posti di lavoro persi per colpa del Partito democratico”.
Da più parti, in primis dal sindaco di Siena Luigi De Mossi, è poi arrivato un appello al presidente del Consiglio Mario Draghi, perché spenda la sua autorevolezza in Europa per chiedere una proroga dei termini entro cui lo Stato deve cedere la quota in Mps. Ma da Bruxelles per ora le porte sembrano chiuse. “Come sempre, è responsabilità degli Stati membri rispettare gli impegni in materia di aiuti di Stato ed è loro compito proporre le modalità per adempiere a tali impegni”, ha fatto sapere un portavoce della Commissione europea. “Spetta quindi all’Italia decidere e proporre modalità di uscita dalla proprietà Mps tenendo conto degli impegni in materia di aiuti di Stato del 2017”. L’Italia, ha aggiunto il portavoce, “si è impegnata a vendere tutte le azioni della banca entro una certa scadenza” e “il termine per completare la privatizzazione in base agli impegni non è scaduto”.