martedì, 11 Febbraio 2025
Come Ultima notte a Soho ha ricreato la Swinging London anni ’60
“Ultima notte a Soho è una lettera d’amore a quella specifica parte di Londra, e a un’epoca passata in cui i Rolling Stones e la principessa Margaret se ne andavano in giro a socializzare. È una lettera d’amore al passato, ma anche un monito a non guardarsi indietro con troppa nostalgia, o sorvolare sui lati oscuri”. Queste parole di Krysty Wilson-Cairns, co-sceneggiatrice di Ultima notte a Soho, sintetizzano alla perfezione il film di Edgar Wright, in arrivo il 4 novembre per Universal Pictures.
Troppo spesso, vogliono dirci Wright e Wilson-Cairns, si tende a idealizzare il passato dimenticando che ogni epoca ha il suo marcio nascosto sotto la superficie. Un avvertimento che risulta più che mai attuale e importante, in quest’epoca in cui sempre più spesso ci guardiamo indietro, sognando un’epoca d’oro che, forse, non è mai esistita. “Gli anni ’60 gettano una lunga ombra su Londra, ma particolarmente su Soho”, spiega Wright, che a Soho, come tanti altri artisti, ci vive. “Soho ha sempre rappresentato moda e showbusiness ai massimi livelli, ma è anche un ricettacolo di iniquità. È imbevuto di storia della musica e del cinema, ma anche di storia criminale”. In sintesi: “Se passi troppo tempo a idealizzare il passato, puoi non accorgerti del pericolo che è davanti a te”.
La ricetta perfetta per un thriller ambientato nella Swinging London anni ’60. Eppure, allo stesso tempo, Ultima notte a Soho riconosce la bellezza di quel periodo, la vitalità di un decennio in cui moda, musica, cinema, arte e cultura hanno contribuito a cambiare per sempre il nostro modo di vedere le cose. Perché solo ricostruendola pedissequamente e mettendone in risalto la superficie brillante e travolgente, Wright avrebbe potuto puntare il dito sugli angoli bui.
Una ricerca meticolosa
Wright ha reclutato innanzitutto la consulente Lucy Pardee, vincitrice di un BAFTA per il suo lavoro nel film Rocks, per esplorare il passato di Soho. Pardee ha intervistato persone che vivevano e lavoravano a Soho negli anni ’60, compilando una “bibbia” che includeva notazioni sull’industria del sesso del centro di Londra, sia presente che passata. E inoltre informazioni sulla polizia che pattugliava l’area, sugli studenti di moda di oggi (come la protagonista Eloise), e infine su incubi, paralisi del sonno, incontri paranormali e altri elementi inerenti al plot.
Costumi e trucco
Nel frattempo, la costume designer Odile Dicks-Mireaux guardava a Brigitte Bardot, Cilla Black, Julie Christie e Petula Clark per il look degli abiti, assemblando documentari, scene di film, intervistando odierni studenti di moda e lavorando a stretto contatto con un Edgar Wright “entusiasta” al punto da creare un “mood reel” per aiutare la costumista a capire la direzione che voleva imprimere al film.
Brigitte Bardot è stata un punto di riferimento anche per la responsabile del trucco e delle acconciature Elizabeth Yianni-Georgiou, che ha guardato alla celebre star francese per ideare il look biondo platino di Sandie (Anya Taylor-Joy).
Girare a Soho
Naturalmente, per raccontare Soho era necessario girare a Soho. “Mi pareva che il centro di Londra e Soho non si vedessero da un po’ sul grande schermo”, spiega il regista. “Per questo l’idea e la sfida di girare un film lì mi intrigavano”. Camilla Stephenson, location manager che ha lavorato con Wright anche a La fine del mondo, ha iniziato a studiare Soho dopo Natale 2018. “Molto del quartiere è rimasto come era negli anni ’60”, spiega. Eppure i club e i bar sono cambiati, nel frattempo, e questo ha richiesto che le location venissero “vestite” per riportare indietro il calendario di cinquant’anni. Lo scenografo Marcus Rowland spiega che, basandosi sulle testimonianze dei passanti che venivano a curiosare, ha aggiunto altri dettagli in corso d’opera: “Volevamo che gli anni ’60, che sono un mondo quasi fantastico all’inizio, avessero un aspetto più desiderabile rispetto al mondo ordinario di Eloise”.
La scena chiave per raggiungere questo obbiettivo è quella in cui Eloise giunge per la prima volta negli anni ’60 e si ritrova davanti all’ingresso del Café de Paris, uno storico locale tuttora esistente. Non essendo possibile girare davanti al locale vero, la produzione ne ha ricostruito l’ingresso presso un cinema di Haymarket, montando un gigantesco poster di Thunderball sopra l’entrata. Una sequenza spettacolare in cui Thomasin McKenzie avanza, seguita da una steadicam, mentre intorno a lei la strada brulica di passanti e di auto d’epoca. L’attrice ricorda: “Girare è stato abbastanza terrificante, perché con la coda dell’occhio vedevo le auto che mi venivano incontro e dovevo fidarmi che non mi avrebbero investita. È stato straordinario vedere Londra trasformata. La gente avrà pensato: ‘Che sta succedendo? Ho attraversato un portale temporale?’”.
Le riprese si sono poi spostate in interni, e in particolare nello spettacolare set del Café de Paris creato da Marcus Rowland, e costituito da due set speculare divisi da vetrate nelle quali Eloise e Sandie potevano specchiarsi, ottenendo in modo pratico un effetto che altri avrebbero realizzato in CGI.
Le musiche
La già citata scena del “primo contatto” tra Eloise e gli anni ’60 include anche un grande momento musicale. Edgar Wright ha lavorato con il compositore Steven Price (Baby Driver, La fine del mondo), che si è recato ai leggendari studi di Abbey Road per registrare un nuovo arrangiamento del brano You’re My World di Cilla Black, che accompagna la scena. Spiega Price: “I primi 15 minuti del film sono quasi in mono. Tutto esce dalle casse frontali. Solo quando Eloise arriva negli anni ’60 tutto si apre all’improvviso intorno a voi”. A quel punto il brano di Cilla Black passa dal mono al surround “per rendere gli anni ’60 più vivi del presente”. L’equivalente acustico del passaggio al Technicolor ne Il mago di Oz.
Inoltre, Price ha mescolato i brani selezionati da Wright (durante la scrittura della sceneggiatura) con stralci musicali incisi con strumenti d’epoca (come il mellotron), sintetizzatori à la John Carpenter e texture vocali per dare al tutto un retrogusto più sinistro.
Nel cinema di Edgar Wright la musica ha sempre ricoperto un ruolo di primo piano, e Ultima notte a Soho non fa eccezione. La colonna sonora include classici beat e brani di gruppi meno noti. Da Downtown di Petula Clark (nella versione originale e in una riarrangiata e cantata dalla stessa Anya Taylor-Joy) al brano che ha dato il titolo al film, Last Night in Soho di Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich, dai Kinks agli Animals, da Nancy Sinatra ai Beatles, il film non esita ad affidare alla musica il ruolo di bussola emotiva della storia.
Il risultato è un’esperienza immersiva che avvolge lo spettatore e lo trascina giù per la tana del Bianconiglio fino ai colorati, elettrizzanti e, sì, spaventosi Sixties. A Edgar Wright non servono il 3D o la CGI per ricostruire un passato che sembra tanto lontano ma non lo è. “Ho passeggiato per Soho più volte di quante ne possa ricordare, e mi sono ritrovato spesso a pensare a cosa questo o quel palazzo fossero un tempo. Senti gli echi del passato, e neanche tanto distanti”.