lunedì, 25 Novembre 2024
Il Pacifico torna a bruciare. Povertà, Cina e pandemia incendiano le Salomone
Dopo l’Australia, che dal 2017 ha con le Salomone un trattato di sicurezza bilaterale, anche Fiji e Papua Nuova Guinea inviano i loro caschi blu nelle isole del Pacifico meridionale. Le truppe, 50 unità arrivate a Honiara ieri, si uniranno alla forza per il mantenimento della pace nell’arcipelago dopo le rivolte anti-governative della scorsa settimana che hanno di fatto distrutto alcuni quartieri della capitale Honiara e che venerdì scorso ha richiesto l’imposizione del coprifuoco dopo il terzo giorno di violenze.
Il primo ministro delle Fiji, Frank Bainimarama, ha dichiarato: “Il nostro contingente porterà il numero delle forze di pace a circa 200 tra soldati e agenti di polizia, per lo più australiani, ai quali stanno per unirsi anche 35 soldati provenienti dalla Papua Nuova Guinea.” Tuttavia nella nazione, tra le più povere dell’Oceania, crescono i disordini e ciò desta preoccupazione per la sicurezza delle persone, compresi i pochi occidentali presenti. Tra questi il vescovo di Gizo, monsignor Luciano Capelli, soprannominato il vescovo volante perché utilizza un aeroplano anfibio per spostarsi tra le 350 isole abitate delle circa mille comprese nella sua diocesi. Attualmente il sacerdote è ospitato in un albergo fino a completamento del periodo di quarantena, prevista per chi rientra nelle isole dall’estero, e la struttura è vigilata dalle forze di polizia. La crisi delle isole Salomone è scoppiata la scorsa settimana: nella città di Honiara ci sono state rivolte che soltanto in parte sono state attribuite alla povertà, alla fame e alla frustrazione per le politiche governative attuate dalla nazione che conta 800.000 persone. Durante i disordini, che hanno causato almeno tre vittime, la folla ha incendiato edifici nella Chinatown della capitale e tentato di incendiare la residenza privata e il parlamento del primo ministro Manasseh Sogavare prima di essere dispersa dalla polizia che sparava lacrimogeni e colpi di avvertimento.
L’intervento australiano e quindi quello di Fiji e Papua sono stati la risposta all’appello fatto dal primo ministro Celsus Talifilu Sogavare, ma non sono in accordo con il governatore della provincia di Malaita, Daniel Suidani. La presenza dei peacekeepers aiuterà a contenere le rivolte ma le radici del conflitto interno delle Salomone sono profonde. Molti dei manifestanti provengono proprio dalla provincia di Malaita, storicamente sempre in lotta con quella di Guadalcanal dove ha sede il governo nazionale. I malaitiani si sono opposti al cambiamento imposto dal governo di Sogavare nel 2019 per riconoscere formalmente la Cina invece di Taiwan. Suidani ha bandito le aziende cinesi dalla provincia e ha accettato aiuti allo sviluppo dagli Stati Uniti. In un discorso alla nazione trasmesso domenica 28 novembre Sogavare ha condannato l’attacco alla sua casa, giurando di non dimettersi. “Questo attacco è stato progettato per spingermi a dimettermi, tuttavia i principi della democrazia e dello stato di diritto devono essere sempre protetti. Sono stato eletto vostro primo ministro per essere custode e protettore di questi grandissimi principi, su cui si basa la nostra democrazia, e continuerò a difenderla”. Sogavare ha affermato anche che il costo dei danni causati dai disordini è stato di oltre 200 milioni di dollari e ha accusato i rivoltosi di favorire le ingerenze straniere per la sua decisione di riconoscere diplomaticamente Pechino, attribuendo i disordini alle denunce di mancanza di servizi governativi, alla presenza di corruzione e di lavoratori stranieri che sottrarrebbero posti di lavoro locali.
Isole senza pace
L’Australia aveva già guidato una forza di polizia composta da sue truppe delle Isole del Pacifico nell’ambito della missione regionale delle Isole Salomone (Ramsi) dal 2003 al 2017. Comprendeva 2.300 poliziotti e truppe di 17 nazioni. Il dispiegamento si era concluso con successo ma il conflitto di quegli anni aveva causato comunque la morte 200 persone. Nella storia le Isole Salomone sono famose per essere state tra i più sanguinosi campi di battaglia della Seconda guerra mondiale: qui si svolse la cruciale battaglia di Guadalcanal (Operazione Watchtower, 7/8/1942 – 9/2/1943, 7.100 vittime alleate, 31.000 giapponesi), che prende il nome dall’isola più grande della nazione dove si trova la capitale Honiara. Dopo i trattati di pace del 1945 l’arcipelago divenne il Protettorato delle Isole Salomone britanniche per poi conquistare l’indipendenza nel 1978. La nazione del Pacifico meridionale è composta per la maggioranza da etnie melanesiane, polinesiane, micronesiane, cinesi ed europee. Il nome delle isole fu dato dal navigatore spagnolo Álvaro de Mendaña de Neira che le scoprì nel 1568 pensando di essere giunto nel regno d Ofir citato dalla Bibbia come sede delle miniere di re Salomone. A destabilizzare la situazione recente contribuisce la migrazione di coloni della popolosa ma poverissima Malaita verso le opportunità economiche offerte da Guadalcanal e Honiara. Alla fine degli anni ’90, gli isolani nativi di Guadalcanal, conosciuti come Guales, lanciarono una violenta campagna per cacciare i Malaitani dall’isola. Per proteggerli fu creata la milizia “Malaita Eagle Force” che tuttavia ha ottenuto l’effetto opposto arrivando a far dichiarare lo stato d’emergenza nazionale per quattro mesi nel 1999. Nel 2000, la Malaita Eagle Force rapì il primo ministro Bartholomew Ulufa’alu, malaitano, perché riteneva che non stesse facendo abbastanza per la causa del suo popolo. Ulufa’alu si dimise in cambio della sua libertà. Gli incentivi finanziari elargiti da Pechino per tagliare i legami con Taiwan non hanno ancora dato i loro frutti, anche perché le Salomone hanno chiuso i loro confini durante la pandemia e questo ha limitato l’impegno cinese. Tuttavia è evidente come il risentimento contro gli uomini d’affari cinesi da parte degli isolani sia di vecchia data, tanto che portò a scontri e incendi anche nel 2006.