martedì, 26 Novembre 2024
Radrizzani, l’uomo che può aiutare il calcio italiano (e che voleva la Salernitana)
«Non è facile, è una settimana complicata; sto andando adesso a Leeds per cercare di risollevare il morale della squadra, portare un po’ di positività. Cerco di guardare un po’ in là, oltre il semplice episodio…». È davanti ad una sconfitta che forse si vede il vero spessore di una persona. Ed è proprio nel bel mezzo di un post 7-0 subito dal suo Leeds contro il Manchester City di Guardiola che incontriamo (via web) Andrea Radrizzani, italiano al punto giusto (nel senso che sa valutare pregi e difetti del suo paese e dei suoi abitanti), imprenditore di successo e proprietario del club inglese portato dalle ceneri delle serie minori alla Premier League.
Radrizzani rappresenta in carne ed ossa il detto latino «nemo profeta in patria»; lui, uno dei massimi imprenditori del mondo nel campo della gestione dei diritti tv e non solo, nel nostro paese fatica a fare affari e quindi a farsi conoscere. Ma la competenza ed i risultati ottenuti all’estero (la sua Eleven chiuderà l’anno con l’ennesimo bilancio in attivo mentre altre realtà, come Dazn, hanno bilanci con un negativo molto pesante) rendono facile ed obbligatoria la domanda: come valuta la gestione dei diritti tv della nostra Serie A?
«Verrebbe da dire che la cosa è stata gestita “all’italiana”. C’è un desiderio di cambiamento, ma poi non si cambia e le cose vengono fatte alla stessa maniera. Io ho presentato a uomini della Lega Calcio un documento con una nuova, più moderna, più democratica e più digitale, gestione delle immagini del nostro calcio all’estero. Questo progetto è finito in un cassetto ed il presidente non lo ha mai visto. Nel passato quando esisteva un management diviso e dei club divisi che non davano una delega forte ai dirigenti succedeva che la gestione risultava approssimativa, la speranza è che la situazione possa cambiare nel prossimo futuro».
Come funziona invece il Premier League?
«In maniera totalmente diversa. Qui ci sono diversi comitati che include a seconda delle situazioni alcuni club e persone del management della Premier League. Questi hanno un’autonomia ed una delega totale e molto autorevole. Questo fa tutta la differenza del mondo. In Italia c’è troppa presenza dei presidenti nell’attività commerciale della Lega e questo condiziona il modo di lavorare ed i risultati».
Non è che le sue critiche nascondono un po’ di rabbia per non essere mai riuscito a far affari in e con il calcio italiano?
«No, glielo assicuro. Nella mia attività, nella mia vita, ho vinto gare e ne ho perse. La sconfitta non è un problema, ci sta. Ho trovato il mio bilanciamento in questo. Il problema con l’Italia è essere trattati con trasparenza e professionalità e questo nelle mie esperienze con la Lega non è mai accaduto».
Se lei domani si svegliasse come “Commissioner“ per dirla nel gergo Nba, del calcio italiano quali sono le prime cose che farebbe?
«La prima cosa è conoscere il mercato mondiale. Serve una presenza sul territorio a livello manageriale. Bisogna trattare il prodotto calcio come un brand. Se Armani, la Ferrero, Gucci hanno uffici in tutto il mondo lo stesso lo deve fare la nostra Serie A. Serve questo tipo di attività, lo dicevo già nel 2004 quando vendevo i primi contenuti della Serie A sul mercato cinese. Sono passati 18 anni siamo nello stesso punto di prima (in realtà proprio un queste ultime settimane è stato aperto il primo ufficio a New York e sono in programma altre due aperture, una a Dubai ed una in Cina. n.d.r.). Quindi, il primo punto è la presenza e conoscenza del territorio e dei mercati. Il secondo punto è una sorta di rivoluzione tecnologica; basta con l’idea di vendere sempre e solo l’esclusiva tv, ma guardare anche ai social media come tramite per la diffusione di contenuti».
Come avrebbe reagito lei, Commissioner del nostro calcio, davanti ai problemi di streaming che i tifosi italiani hanno dovuto sopportare soprattutto nelle prime giornate con le partite trasmesse da Dazn?
«Questo è un bel problema. Bisogna capire cosa c’è scritto sul contratto. Certo, ci devono essere delle garanzie tecniche. Se queste vengono a mancare bisogna ricordarsi che la priorità è la difesa del tifoso; si dovrebbe quindi pensare ad una nuova modalità di distribuzione del contenuto. Non significa chiudere la porta e rescindere un contratto ma trovare una soluzione alternativa, magari riprendendo parte dei diritti da girare ad altri acquirenti».
Come spiega il suo strano rapporto con l’Italia, dal punto di vista professionale?
«Non cerco la gloria in Italia, forse non cerco nemmeno la gloria in generale, cerco di fare bene il mio lavoro, ovunque sia. Ho dei progetti importanti su cui sto lavorando: la crescita di Eleven, una crescita step-by-step in un campo dove in passato alcuni colossi non sono riusciti ad arrivare dove siamo noi ora. Siamo piccoli in Italia ma all’estero abbiamo grandi spazi. C’è poi una start up, Live Now legata alla musica ed all’intrattenimento, nata da poco ma già in grado di posizionarsi ai vertici del mercato mondiale in questo settore (molto cresciuto con la pandemia) con un modello pay-per-view. La settimana prossima faremo il primo concerto in Italia in metaverse con una giovane musicista, BigMama. Una sorta di test per poi partire definitivamente a livello internazionale».
Perché non si compra una squadra di calcio italiana?
«In realtà ci ho provato. La Salernitana è stata al centro dei miei pensieri estivi. Ho fatto un’offerta d’acquisto. Non ho mai avuto neanche una risposta; nemmeno un “No, grazie”. Questo è il male del paese. Poi ci sono club con dei livelli di indebitamento troppo elevati, per cui diventa impossibile interessarsi per poterli acquistare e riportare ad un livello economico e sportivo valido. Diverso è stato il discorso con il Leeds. L’ho acquistato per 100 milioni ed ora ne vale 400, ed è tornato in Premier League»
Vittorie e sconfitte, progetti che nascono ed altri che svaniscono. Andrea Radrizzani magari un giorno potrebbe tornare nel nostro calcio, da proprietario (ed infatti chiede notizie sulle voci che circondano la situazione societaria dell’Inter e l’attuale proprietà cinese) ma senza fretta e soprattutto senza alcun obbligo. Con un consiglio ai giovani: «Siate ambiziosi…»