lunedì, 25 Novembre 2024
Italia, repubblica dell’ipocondria. Cina, il paese del lockdown
La repubblica dell’Ipocondria
Siamo seduti su una polveriera emotiva senza precedenti. Ci lasciamo alle spalle le festività natalizie tra le più tristi degli ultimi due secoli, con pochissimi abbracci e tanta, troppa paura. Non stupisca quindi se a capodanno i divieti di usare fuochi d’artificio e petardi sono stati ignorati, non che sia giusto farlo, sia chiaro, forse però si sta esagerando su troppi fronti e gli italiani mostrano in quel modo una rabbia sopita per troppo tempo, facendo crescere l’intolleranza a regole spesso discutibili, sovente contradditorie. Non ci vuole un master in psicologia per sapere che l’incertezza crea la paura, questa crea rabbia, e che la rabbia spesso si trasforma in violenza. Così a guardare che cosa è accaduto a Milano, in pieno centro come in periferia, la notte di capodanno si vede la dimostrazione della teoria.
Se poi, dopo tre dosi di vaccino, in pieno inverno, per ogni raffreddore, mal di testa o colpo di tosse bisogna fare un tampone perché lo dice la televisione, allora siamo diventati una repubblica fondata sull’ipocondria. E si sa che, tampona uno, tampona l’altro, quella parte d’Italia che con le limitazioni non perde un euro, né un giorno di lavoro e tanto meno l’occasione per rallentare, ne approfitta immediatamente a scapito dell’Italia che vorrebbe realmente reagire e lasciarsi alle spalle due anni orribili. Se non c’è il coraggio nazionale di rendere obbligatoria la vaccinazione e si aspetta una decisione europea, tanto comoda perché fatta calare dall’alto, in modo che i nostri politici non debbano esporsi direttamente prendendo una posizione contro la loro popolarità, sia almeno altrettanto discrezionale la scelta di quando farsi fare un tampone. Magari se la febbre non scende dopo due o tre giorni o se la tosse è persistente, lasciando che sia il medico di base a consigliarci prima di agire in modo autonomo. Ma illuderci di tenere l’Omicron fuori di casa come fosse un gatto randagio è utopia.
Perché dopo l’inverno c’è la primavera, e passati i malanni di stagione, che non sono scomparsi, arriveranno le allergie alle piante che fioriscono, gli sbalzi di temperatura come in autunno e gli immancabili abusi dell’aria condizionata. Avremo quindi sempre una scusa per associare i sintomi alla paura di avere il Covid e ricorreremo per sempre al tampone liberatorio. Fino al prossimo sintomo. Alla faccia delle tre vaccinazioni, dei green pass e dei nonni protetti al confino.
Ci sono i morti, ma ancora non è ben chiaro come siano contati e soprattutto catalogati, stante che poi capita che un cittadino di Forlì vada a farsi vaccinare e venga respinto perché risulta deceduto.
Una domanda però su che cosa stia realmente accadendo in Cina a proposito di pandemia dobbiamo farcela, cercando anche risposte concrete ed ufficiali. Altro che un milione e mezzo di persone in lockdown per qualche positivo, sia Chengdu, sia Xi’An e anche Harbin, e siamo a quasi 50 milioni di individui, non possono uscire di casa. Non lo dicono i telegiornali, ma la stampa estera e i contatti diretti con chi ha collaboratori da quelle parti. Nella giornata del due gennaio proprio da una grande azienda aerospaziale di Xi’An è arrivata a tutti i fornitori e collaboratori sparsi per il mondo la comunicazione della chiusura per la quasi totalità dei reparti, con il rallentamento delle attività e, immancabilmente, anche il rinvio (guardacaso) dei pagamenti in scadenza. Da capire allora è se in Cina stia già circolando qualcosa di nuovo, per noi la prossima tegola, oppure se Pechino ha deciso di sferrare l’ultimo assalto alle note varianti del virus per liberarsene una volta per tutte. Anche da loro, presto, sarà primavera.