martedì, 26 Novembre 2024
Lobby, ecco perché la nuova legge parte con il piede sbagliato
È di pochi giorni fa, il 12 gennaio, la notizia dell’approvazione alla Camera della proposta di legge che disciplina l’attività di lobbying: un testo che punta a regolamentare la rappresentanza di interessi, nel nome della trasparenza e della partecipazione ai processi decisionali, nonché a colmare un vuoto normativo. Tuttavia, questo testo – che ora deve passare al Senato – non convince del tutto gli addetti ai lavori. Ne abbiamo parlato con Giampiero Zurlo, presidente e ad della società di relazioni istituzionali Utopia, attiva nel settore da oltre 11 anni.
Cosa pensa della proposta di legge approvata a Montecitorio?
Una prima riflessione è questa: si è arrivati all’approvazione di questo testo in uno dei rami del Parlamento dopo la presentazione, nel corso degli anni, di quasi settanta proposte sul tema, nessuna delle quali è diventata poi effettivamente legge. E anche in questo caso il rischio c’è: il Senato apporterà inevitabilmente delle modifiche al testo e con ogni probabilità servirà una nuova lettura alla Camera. Nel frattempo potrebbe anche terminare la legislatura e in questo caso l’intero iter dovrebbe ricominciare da capo. Ciò detto, anche in Italia si è arrivati a elaborare una legge sul lobbying perché è sempre più chiaro che l’attività di rappresentanza di interessi legittimi è un pilastro della democrazia, che nelle Costituzioni più evolute è posta a fondamento della vita democratica.
L’attività di lobbying è fondamentale anche per le aziende…
«Dal punto di vista economico fare lobbying è un elemento strategico, che viene collocato al centro delle strategie aziendali, ormai non solo da parte delle grandi multinazionali ma anche delle Pmi. Questo perché le aziende a tutti i livelli sono sempre più consapevoli di dover interagire non solo sul mercato, ma anche con chi scrive le regole, quindi con gli attori istituzionali. Avere il miglior prodotto sul mercato e non poterlo vendere perché una legge lo impedisce può essere estremamente improduttivo».
Per esempio?
«Uno dei casi più eclatanti è quello dell’ovetto Kinder, uno dei migliori prodotti nel suo comparto, la cui vendita è però vietata negli Stati Uniti in base a una norma molto datata, che proibisce la presenza di parti plastiche all’interno dei prodotti alimentari. La legge era stata pensata quando ancora non si conoscevano bene le caratteristiche della plastica, ma anche ora che esiste la plastica per uso alimentare il divieto rimane, perché se si autorizzasse la vendita dell’ovetto Kinder negli Usa l’industria alimentare statunitense perderebbe quote di mercato. Un altro esempio che vede le norme influire pesantemente sull’attività economica è quello delle restrizioni per il covid: in piena pandemia è capitato che il titolare di un’attività scoprisse la domenica sera, controllando la lista dei codici Ateco, se l’indomani avrebbe potuto aprire o meno. Il covid agisce in questo modo da acceleratore del rischio regolatorio, che è collegato alle decisioni politiche o legislative ed è ai primi posti tra i fattori negativi per i risultati aziendali. Tutto questo significa che chi svolge l’attività di lobbying deve avere una elevatissima professionalità: diverse università hanno avviato corsi specifici, perché le aziende richiedono professionisti in possesso di skill evolute».
Cosa serve per fare bene questo lavoro?
«Un bravo lobbista deve essere un bravo giurista, ma anche un bravo analista politico ed economico e un bravo comunicatore. Nella nostra società lavorano una ventina di giornalisti su un totale di 65 collaboratore e un anno fa abbiamo inaugurato gli Utopia Studios: in piena pandemia abbiamo riconvertito la nostra grande sala conferenze a largo Chigi in uno studio tv, tramite il quale continuiamo a svolgere la nostra attività di relazione con giornalisti e istituzioni in modo innovativo. Per fare lobbying in questo momento è importante conoscere bene il mondo dei media e quello dei social, che hanno un impatto fortissimo sul processo decisionale. Chi vuole interloquire con la politica per rappresentare le legittime istanze del mercato e delle imprese deve saper governare questi elementi in modo professionale».
Cosa manca alla proposta di legge approvata alla Camera?
«In un mercato sempre più evoluto e professionalizzato il legislatore ha insistito per regolamentare l’attività di lobbying invocando meramente il controllo degli attori. In tutte le proposte legislative sul tema, e in quest’ultima a maggior ragione, il lobbying viene regolamentato non per migliorare la qualità della legislazione e dei processi, accettando che esiste una nuova professione che va normata. Tutt’altro: il principio della legge è controllare cosa fa chi fa lobbying. Il testo prevede infatti che chi si iscrive al registro deve indicare a cadenza settimanale chi incontra, di cosa discute, e allegare i documenti consegnati al decisore. Questo approccio a nostro avviso è privo di senso: anche questa legge parte con l’obiettivo di regolamentare il settore senza comprenderne la sua vera natura».
Si paga un certo pregiudizio nei confronti di questa attività?
«Sì, senz’altro: ad esempio al Parlamento europeo le società di lobbying devono dichiarare chi sono i loro collaboratori, quali società hanno tra i clienti e fornire un range economico dei contratti, e poi hanno libero accesso al Parlamento. In Italia invece l’attività è ancora poco conosciuta e la nuova legge non aiuta a fare chiarezza. Alcuni colleghi sostengono, ad esempio, che se dovesse passare la nuova norma i professionisti possono lavorare senza temere di finire indagati per traffico illecito di influenze; ma non è l’iscrizione al registro a tracciare il discrimine tra chi lavora correttamente e chi lo fa in modo illegale».