sabato, 23 Novembre 2024
Sanremo, il festival del gender fluid
Il Festival di Sanremo si è concluso lo scorso sabato, ma le polemiche che ha lasciato sono destinate a continuare ben oltre la fine del programma stesso. O meglio, ci auguriamo che proseguano, non per mettere in atto una polemica sterile e inutile, quanto per portare a galla tutta una serie di oscenità e contraddizioni e porre così un vero e costruttivo dibattito su di esse. E su quello che il Festival della canzone italiana – trasmesso in eurovisione e sulla tv pubblica e statale – dovrebbe non essere, ma invece è purtroppo stato.
È innegabile, infatti, che ormai da decenni – o forse da sempre – la rassegna canora più importante del nostro Paese sia un enorme e importantissimo veicolo culturale, ma anche politico e sociale e, come lo stesso mondo della musica, sia un palcoscenico per raccontare e descrivere la società e le sue dinamiche attuali. Questo suo ruolo, però, ormai da tempo e soprattutto in questa 71esima edizione, si è trasformato in una vera e propria propaganda a senso unico, un vero condensato della peggior ideologia dominante e di massa, che mina e vuole minare l’identità dell’uomo e della donna e, di pari passo, sbeffeggiare il sacro e la religione cattolica stessa.
Da una parte, infatti, gli show che sono andati in onda su Rai1 – che ci ha deliziato dal martedì al venerdì con circa sei ore di programma ogni giorno, fino a notte fonda – hanno preso palesemente di mira le differenze di genere. Basti pensare, infatti, alle polemiche sui fiori da non dover consegnare solo alle donne, oppure alla valanga di critiche e polemiche che hanno travolto il direttore d’orchestra Beatrice Venezi, 31 anni, la più giovane d’Italia, per aver detto di voler essere chiamata, appunto, “direttore” e non “direttrice”. Alla faccia della libertà di espressione tanto portata avanti – in astratto – dalle femministe, che le hanno riservato i peggiori editoriali e commenti. Infine, per quanto riguarda la stucchevole propaganda gender, non si può dimenticare e non menzionare gli stessi vincitori del Festival – il gruppo dei Måneskin – che si sono esibiti con il cosiddetto “nude-look” e, i componenti maschili, con abiti femminili.
Dall’altra parte, invece, come si accennava, il constante riferimento alla religione e alla dissacrazione dei più importanti simboli religiosi, facendosi beffe della religione cattolica. Anche qui verrebbe da dire: alla faccia del rispetto! Dunque come biasimare, per esempio, il vescovo di Sanremo-Ventimiglia, che si è scagliato – all’indomani della fine della rassegna canora – contro l’assurdità di una trasmissione piena di «mancanze di rispetto, derisioni e manifestazioni blasfeme nei confronti della fede cristiana esibite in forme volgari e offensive». Attraverso un comunicato stampa, infatti, il vescovo ha scritto che il suo intervento è doveroso ed è necessario «per esortare al dovere di giusta riparazione per le offese rivolte a Nostro Signore, alla Beata Vergine Maria e ai santi». Stiamo parlando, dunque, non solo delle rappresentazioni blasfeme e oltre il limite della decenza del cantautore Achille Lauro, ma anche e soprattutto della performance – sempre all’interno di uno dei “quadri” di Lauro – di Fiorello, co-conduttore di questa edizione del Festival accanto al conduttore e direttore artistico Amadeus. Il “comico”, infatti, ha indossato una corona di spine accompagnando l’esibizione di Achille Lauro e proprio poco prima aveva ricevuto il premio “Città di Sanremo”. Su questo riconoscimento il vescovo di Sanremo ha affermato che «attribuito ad un personaggio che porta nel nome un duplice prezioso riferimento alla devozione mariana della sua terra d’origine, non rappresenti gran parte di cittadinanza legata alla fede e dico semplicemente ‘non in mio nome’».
Perché, ci chiediamo, questo accanirsi contro le differenze uomo-donna? Perché questo voler a tutti costi propagandare il concetto di gender-fluid? Ma soprattutto – visto che la rispostate alle prime domande è abbastanza scontata – ci chiediamo perché questo accanimento gratuito alla religione e in particolare a quella cattolica, con lo spiattellamento in prima serata delle derisione verso simboli religiosi (vedi, appunto, la corona di spine ma anche il Sacro Cuore di Gesù nelle performance di Lauro) e di manifestazioni sacre della pietà popolare, come i riferimenti alla Vergine, alle lacrime di sangue e al corpo trafitto dalle rose.
No. Questo Sanremo non solo non ha rappresentato gli italiani, non solo è stato pensato e creato “non in mio nome”, ma è anche stato tutto tranne che rispetto verso gli altri, specchio della società e occasione per unire e portare una luce di gioia e divertimento in un Paese martoriato dalla pandemia e dai lockdown. Un’occasione, appunto, mancata.
info: provitaefamiglia.it