sabato, 23 Novembre 2024
Crescono le tensioni tra la Cina e i Paesi baltici
Un portavoce del governo lituano ha annunciato pochi giorni fa che Vilnius abbia intenzione di aprire un ufficio di rappresentanza a Taiwan entro quest’anno: una notizia che è stata non a caso favorevolmente accolta da Taipei. Ricordiamo che il Paese baltico avesse già spalleggiato l’isola negli ultimi mesi in seno all’Organizzazione mondiale della sanità. In questo quadro, il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, non ha tra l’altro esitato a pronunciare parole particolarmente severe verso il summit 17+1: un consesso, istituito nel 2012 e volto a rafforzare i legami economico-commerciali tra la Cina e altri diciassette Paesi dell’Europa centro-orientale. Ebbene, Landsbergis ha esplicitamente fatto presente che la Lituania non abbia ottenuto alcun concreto beneficio dalla partecipazione a questo forum: una critica, questa, mossa anche da altri Paesi partecipanti, che sostengono di aver finora ricevuto scarsi investimenti dal Dragone. Non pago, il ministro lituano ha anche lasciato chiaramente intendere che Vilnius voglia sottoporre a revisione i propri legami con Pechino: una Pechino che – secondo il ministro – sarebbe mossa da intenti segretamente ostili, puntando pressoché esclusivamente a “dividere” l’Europa.
La reazione della Repubblica popolare – neanche a dirlo – non si è fatta attendere. Giovedì scorso, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha innanzitutto difeso il forum 17+1 e ha in secondo luogo esortato Vilnius a “rifiutarsi di essere sfruttata dalle forze separatiste di Taiwan, e ad evitare di fare qualsiasi cosa dannosa per la fiducia reciproca politica bilaterale”. “Siamo fermamente contrari”, ha aggiunto, “alla costituzione reciproca di agenzie ufficiali e scambi ufficiali in tutte le forme tra la regione di Taiwan e Paesi che hanno relazioni diplomatiche con la Cina, compresa la Lituania”. In tutto ciò, pochi giorni fa, Bloomberg News ha riportato che “il mese scorso, la Lituania ha vietato a una società statale cinese di fornire ai propri aeroporti apparecchiature per la scansione dei bagagli per questioni di sicurezza nazionale”.
Questa piccola (ma significativa) tensione diplomatica tra Vilnius e Pechino va comunque al di là di singoli nodi contingenti. È infatti l’intera area baltica che sta sempre più raffreddando i propri rapporti con la Repubblica popolare: non a caso, tutti i Paesi baltici – insieme anche a Bulgaria, Romania e Slovenia – quest’anno hanno inviato al summit 17+1 ministri e rappresentanti di rango inferiore: uno schiaffo politico-diplomatico non di poco conto per il Dragone. Una porta in faccia al presidente cinese, Xi Jinping, che – come riportato da Politico – puntava all’allettante offerta di migliorare l’accesso al mercato cinese soprattutto nel settore dell’agricoltura. Un grande problema per il Dragone consiste non a caso nel fatto che i Paesi baltici non risultino eccessivamente dipendenti dalla Cina sul piano economico-commerciale: una situazione che ovviamente limita la capacità di influenza politica della Repubblica popolare.
Le ragioni che stanno alla base della linea baltica sono molteplici e intrecciate. Troviamo innanzitutto delle motivazioni di carattere storico. La sua passata sottomissione all’Unione Sovietica ha portato quest’area a sposare tendenzialmente posizioni di tutela dei diritti umani e a giocare sempre più di sponda con Washington. Se il principale pericolo percepito continua ad essere quello russo, è pur vero che i Paesi dell’Europa orientale si stiano da tempo allineando con gli Stati Uniti anche sul dossier cinese. Il mese scorso, per esempio, l’Estonian Foreign Intelligence Service denunciò – secondo quanto riferito dal sito Axios – i “tentativi della Cina di mettere a tacere le critiche e dominare le tecnologie chiave in Estonia e in altre democrazie”. Una posizione dura, che era già stata fatta propria dall’intelligence lituana nel 2019: intelligence che aveva puntato nel dettaglio il dito contro attività di spionaggio cinesi ai danni di Vilnius. Non è un caso che, nell’appena pubblicato National threat assessment 2021 dei servizi lituani, si sostenga – tra le altre cose – che “la Cina sfrutta la pandemia per ampliare la sua influenza in Lituania e in altri Paesi”. Tutto questo, mentre – dopo le elezioni dello scorso ottobre – la coalizione di governo attualmente al potere a Vilnius ha garantito di voler perseguire una politica estera “basata sui valori”. Il che, tradotto, significa che il Paese – così come l’intera area baltica – punti a rafforzare ulteriormente i rapporti con gli Stati Uniti. Una strategia che, oltre a contenere direttamente l’influenza cinese nell’area, potrebbe mirare anche a un risultato, per così dire, indiretto.
È infatti probabile che, rimarcando il proprio allineamento a Washington in funzione anticinese, i Paesi baltici sperino di ottenere in cambio dalla Casa Bianca (ulteriori) rassicurazioni sulla sua ostilità nei confronti del gasdotto Nord Stream 2: un’opera notoriamente auspicata invece da Russia e Germania. Del resto, le turbolenze tra i Baltici e la Cina avranno delle ripercussioni anche in seno alla stessa Unione europea, dove Berlino sta perseguendo da tempo una Ostpolitik nei confronti di Pechino (si pensi al recente trattato sugli investimenti) e di Mosca (su vaccini e gas). Washington farà quindi sempre più leva sui Paesi dell’Europa orientale per cercare di controbilanciare i tedeschi.