mercoledì, 27 Novembre 2024
Ivan Reitman meritava di più
Ci sono registi che sono rispettati, altri invece che sono giudicati molto divisivi, altri ancora vivono di alti e bassi confezionano grandi opere come tonfi epocali. Poi ci sono quelli per pochi, di cui magari si comprende l’importanza molto tempo dopo che il loro apice è già stato raggiunto e superato. Ivan Reitman invece faceva parte di una tipologia più unica che rara, quella di chi è stato amato a prescindere, in virtù dall’aver plasmato i sogni e l’immaginario di un’intera generazione con uno stile unico, inimitabile. Eppure paradossalmente il papà di Ghostbusters, Animal House (da lui prodotto) e tanti altri cult degli anni ’80 e ’90, è stato senza ombra di dubbio un regista che avrebbe meritato maggior considerazione, maggiori possibilità dall’industria che ha contribuito come pochi altri a cambiare.
Un percorso atipico e sorprendente
Figlio di immigrati ungheresi ebrei sopravvissuti all’Olocausto e le stragi naziste, Ivan Reitman ha avuto una carriera sicuramente atipica, molto particolare, nella quale si fece spazio inizialmente come produttore, dopo alcuni incerti inizi radiofonici e televisivi.
Tuttavia già in quella fase dimostrò di avere un fiuto incredibile, dal momento che in qualità di produttore, lanciò la carriera di un futuro asso come David Cronenberg, mettendo la firma su due suoi film come Rabid e Il Demone Sotto la Pelle.
Era la fine degli anni ’70 e un nuovo filone narrativo si stava imponendo sottotraccia, qualcosa che connetteva horror, commedia, ma soprattutto la distruzione e decostruzione dell’American Dream che dominava la narrazione mainstream, connettendosi a quel periodo storico poi definito reaganismo.
Nel ‘78 Reitman sfondò definitivamente presso il grande pubblico producendo una delle commedie più importanti del secolo: Animal House, capostipite dei college movies che da quel momento diventarono un sottogenere tra i più popolari e ancora oggi utilizzati dall’industria.
Fu anche il film che lanciò una star del calibro di John Belushi, così come Meatballs, Stripes e altri suoi film avrebbero lanciato Bill Murray, Dan Aykroyd, Harold Ramis, Tom Dugan, John Candy, tutti i volti poi diventati icone e mito dello storytelling anni ’80 e ’90, quello che ha formato la generazione millennial che in queste ore piange un regista di incredibile creatività, originalità.
Reitman era uno che ha sempre offerto intrattenimento diverso dalla norma, senza mai piegarsi a diktat sterili di quella Hollywood che infine lo ha a poco a poco sempre più messo in disparte nel corso degli anni.
Senza ombra di dubbio, il suo cinema fin dai tempi di Foxy Lady e Cannibal Girls, è stato un cinema di rottura. Dietro la patina infatti di parodia, demenzialità di genere, ha saputo anche costruire, creare una parte tangibile della pop culture che ha definito il concetto di totem generazionale da quel momento in avanti.
La rivoluzione di Ghostbusters
Nel 1984 nessuno credeva nel suo progetto, in Ghostbusters, anzi ci si aspettava delle consistenti perdite al botteghino, in virtù di un investimento che era stato molto criticato all’interno della Columbia.
30 milioni di dollari per l’epoca erano una cifra non da nulla, moltissimi pensavano che non potesse piacere un film su quattro tizi un po’ sfigati non molto in forma che andavano a caccia di fantasmi per le vie di New York. Quegli anni ’80 erano del resto il decennio per eccellenza del machismo, di divi come Stallone, Schwarzenegger, Chuck Norris o Steven Seagal, al limite si poteva accettare una derivazione più autoironica come i personaggi di Bruce Willis. Eppure il risultato finale fu quello di creare un terremoto, un mix indovinatissimo di horror, buddy movie, gothic adventure, commedia demenziale e paranormale, che stregò il mondo, che ridisegno il concetto stesso di Blockbuster per come era conosciuto fin dai tempi de Lo Squalo. Senza saperlo, Reitman in quel momento, pose le basi affinché il pubblico under 25 diventasse il protagonista assoluto che è ancora oggi della sala.
Per comprendere ed analizzare l’impatto che hanno avuto quei due film, non basterebbero quattro ore di documentario, tutto ciò che si può tranquillamente dire, è che dopo Ghostbusters, che creò un franchise multimiliardario in tutto il mondo, il concetto stesso di eroe cinematografico cambiò per sempre, così come quello di contenitore multimediale in grado di influenzare musica, televisione, industria del divertimento, gli effetti speciali…ogni cosa.
Qualcuno oggi, mentre si piange la morte a soli 75 anni del suo creatore, può anche giustamente porre la domanda se l’influenza di Ghostbusters, così come del suo sequel generalmente ritenuto meno efficace, sia stata solo ed esclusivamente positiva. Ma di certo Reitman non era colpevole di nulla.
La sperimentazione e l’ostracismo
Dopo essere diventato regista di culto del decennio, anche più di Spielberg o Lucas da certi punti di vista, fece l’unica cosa che sapeva fare: proseguì con il suo percorso di sperimentazione, di mix di generi, con cui sovente metteva in difficoltà per non dire in imbarazzo il pubblico.
Non si può ignorare come con film come Twins, Un Poliziotto alle Elementari o Junior abbia permesso a Schwarzenegger, il più testosteronico dei divi di Hollywood, di mostrare la sua verve comica ed autoironica. Il suo era anche un cinema incredibilmente inclusivo, precorreva tematiche come la diversità, l’abbattimento delle barriere tra i generi, donava un’immagine della donna molto innovativa.
Senza però mai prendersi sul serio, senza fare del moralismo, ma cercando comunque di confezionare storia che avessero un grande cuore, che divertissero e donassero emozioni allo spettatore.
Dave ma soprattutto Due Padri di Troppo segnarono l’inizio dell’ostracismo per Reitman da parte dell’industria cinematografica. Era troppo ottimista, troppo anni ’80 per molti, credeva troppo nei buoni sentimenti, il suo stile parve non essersi adattato alla nuova rabbiosa MTV generation, del nuovo corso dell’immagine connessa all’informatica.
Col tempo Reitman si concentrò soprattutto sulla produzione di film d’animazione e non, aiutando il figlio Jason, regista di perle come Tra le Nuvole, così come tanti altri in pellicole di grande pregio, spesso sottovalutate o incomprese dal grande pubblico.
Negli anni le sue proposte per creare cinecomic o creare sequel dei suoi successi furono sabotate, sovente venne accusato di essere vecchio, di non avere più talento o istinto.
Di certo gli deve aver fatto molto male anche il tonfo assurdo in cui incorse il Ghostbusters al femminile di Paul Feig. Anche per questo, Ghostbusters: Legacy non sarà più visto semplicemente come uno dei pochi ritorni in vita di un franchise del passato meritevole di lode, ma come il suo testamento cinematografico, il saluto finale di un uomo che ha cambiato la nostra fantasia.