mercoledì, 27 Novembre 2024
Crisi ucraina: Donbass e Dnepr, le battaglie possibili
Nonostante l’annuncio del ministero della Difesa russo sulla fine delle esercitazioni nel Mar Nero, in Crimea e quindi presto anche in Bielorussia, restano sul fronte ucraino oltre la metà delle forze di terra inizialmente schierate dalla Russia, insieme con un cospicuo numero di navi da battaglia e un centinaio di velivoli da combattimento basati nelle quattro principali basi bielorusse, tra i quali MiG 31 armati di missili ipersonici e i caccia multiruolo Sukhoi 35. E poi ci sono i carri armati, i vecchi T-72 ancora in servizio ai quali si sono uniti i nuovi T-14, un mostro con 2.000 hp, 12 marce che fila a 80 kmh e ha un’autonomia di 500km. Tutti assetti da battaglia che dalle rispettive posizioni potrebbero colpire con sortite dirette o con il lancio di missili a media gittata. La linea più calda del fronte però, quella dove i colpi vengono già sparati in violazione dei cessate il fuoco e degli accordi di Minsk, è la zona separa l’esercito ucraino dalle forze filo-russe. Razzi, mortai e cecchini, ma soprattutto azioni sporadiche e per ora ben poco coordinate sono i pericoli più diffusi, mentre le cause di scontri trovano le accuse di Kiev ai separatisti di aver colpito l’asilo di Stanytsia Luhanska, mentre il vero bersaglio sarebbe stata centrale elettrica della città. E viceversa, quelle rivolte ai militari ucraini per aver compiuto atti di violenza contro la popolazione russofona del Donbass, con particolare ferocia nei confronti di chi ha un doppio passaporto.
Mentre proseguono attacchi informatici alle infrastrutture ucraine, l’unica certezza è che apparentemente fino a oggi nessun soldato russo abbia varcato il confine. La pressione americana su presunte imminenti intenzioni di Putin di attaccare sembra quindi più mirata a isolare la Russia dall’Europa per ragioni economiche più che militari, cercando probabilmente di rendere l’Ue cliente del gas occidentale e ottenendo in questo modo di compromettere il 40% del totale delle esportazioni russe verso ovest. Intanto il tempo passa e l’arrivo dei primi tepori della primavera complicherà le strategie, poiché l’aumento delle temperature porterebbe a maggiore difficoltà di avanzamento per le truppe, a cominciare dai carri armati, facendo al tempo stesso aumentare enormemente i costi di una possibile occupazione, e questo i russi lo sanno perfettamente. Come sanno che il fronte lungo i confini ucraini di fatto rappresenta quello con la Nato, ed è quindi lecito pensare che anche in caso di de-escalation, in quella zona permarrà comunque un buon numero di militari di Mosca.
C’è tuttavia un altro scenario possibile e che darebbe ragione al presidente Usa Joe Biden: nel caso in cui i russi non ottenessero l’allontanamento del fronte Nato dai loro confini questi potrebbero attaccare l’Ucraina ma fermandosi lungo la riva est del fiume Dnepr, proprio confine tra l’Ucraina occidentale e quella orientale, al fine di occupare i territori degli ucraini russofoni per proteggerli, in modm di allontanare di qualche centinaio di chilometri la Nato da Mosca, che dista solo 500 chilometri dal confine ucraino. Il Dnepr (in italiano Boristene), è una via di comunicazione importante, lunga 2.200 km (e nel suo punto più ampio larga oltre 20) ed è il quarto fiume più grande d’Europa dopo volga, Danubio e Ural. Ma per arrivare fino alle sue sponde i russi dovrebbero prendere comunque la parte orientale della cittadina di Kiev, affrontando una guerra sanguinosa e lunga, quindi costosa, che causerebbe scontri casa per casa. Più difficile, invece, è ipotizzare un attacco ucraino per riprendersi il Donbass con l’aiuto indiretto della Nato, ovvero con l’invio di molte più armi da parte occidentale ma di nessun soldato. E poi dal punto di vista del Cremlino c’è sempre la seppur remota possibilità che gli ucraini vogliano riprendersi la zona della Crimea occupata dai russi, così ecco giustificabile la presenza di reparti meccanizzati ancora per molto tempo.
Suona quindi paradossale che la Nato accusi Putin di schierare eserciti a casa sua quando reparti europei e americani sono perennemente presenti dalla Polonia alla Romani e fino in Bulgaria, dove ci sono anche postazioni di missili che dovrebbero difenderci da quelli balistici dell’Iran ma che per tipologia potrebbero lanciare anche ordigni per colpire Mosca, mentre i nostri caccia (a turno anche italiani) perlustrano il Baltico e rafforziamo continuamente il fronte del Mediterraneo.
Di certo l’Ucraina in mano ai russi sarebbe un disastro economico da gestire da parte di Mosca in un momento in cui la Russia subirebbe sanzioni pesantissime, il tutto per conquistare uno stato che dal punto di vista tecnologico e industriale sarebbe da rimodernare completamente e il cui Pil pro capite è molto modesto. Dunque il quadro allarmante tracciato dagli Usa è da ridimensionare, mentre sarebbe da considerare con più attenzione la richiesta russa di allontanare dai propri confini la zona armata dalla Nato, nonostante la volontà ucraina di far parte dell’Alleanza Atlantica, che sarebbe secondo il presidente Volodymyr Zelensky “una garanzia per non perdere la nostra indipendenza”.
Ricordandoci della storia militare degli ultimi secoli, quando la mobilitazione militare viene usata per fare pressione sui negoziati, essa comporta il grande rischio che per ragioni storiche oppure etniche qualcuno cominci a sparare sempre più frequentemente, fino a giustificare un’azione ordinata dall’alto. Cosa che in Donetsk già sta accadendo. E in questo caso l’obiettivo di Putin potrebbe essere quello di costringere l’Ucraina a chiedere un negoziato direttamente con le autorità di Donetsk e Lugansk per rendere effettivi gli accordi di Minsk.