mercoledì, 27 Novembre 2024
Draghi e Giorgetti rilanciano il nucleare ma la ricerca in Italia è stata smantellata
La guerra in Ucraina, la crisi dei rapporti internazionali con la Russia e le successive sanzioni economiche hanno riportato alla luce la nostra (errata) dipendenza dal gas russo, che paghiamo giorno per giorno. E così, alla ricerca disperata di soluzioni alternative, ecco che si torna a parlare di nucleare. Draghi anche oggi ha ribadito come si debba utilizzare il nucleare pulito di ultima generazione. Gli fa eco il Ministro dello Sviluppo Economico, Giorgetti, secondo cui si dovrebbe addirittura riscrivere il Pnrr («rispetto a sei mesi fa è cambiato tutto. Oggi lo riscriveremmo in maniera differente») puntando anche sull’energia nucleare: «La scienza ha fatto progressi, è opportuno e necessario, anche per garantire la sovranità e autonomia strategica, avere un mix adeguato di fonti, anche nucleare». Ma oggi la ricerca sul nucleare deve di fatto ripartire da zero.
«Fino all’incidente di Chernobyl l’Italia era il terzo paese al mondo non solo per produzione di energia dal nucleare, ma in particolare per la ricerca. Ricerca anche di un nucleare sempre più pulito e sicuro. Purtroppo dal referendum del 1987 tutto è stato smantellato, centrali e soprattutto i team di ricercatori che si sono dovuti trasferire all’estero, con tutto il loro know-how». Gaetano Salina, fisico nucleare dell’INFN (Istituto NAzionale di Fisica NUcleare) commenta con rammarico la storia del nucleare in Italia degli ultimi decenni, oggi in cui la guerra, il caro prezzi, la dipendenza dal gas russo, hanno riportato al centro del dibattito nazionale gli errori fatti in passato sul nostro programma energetico nazionale.
Cosa è successo dopo il Referendum sul nucleare?
«Lo smantellamento della ricerca nucleare non era stato pianificato ma di fatto nella realtà è avvenuto dopo il Referendum del 1987. I centri che facevano ricerche sul nucleare erano pochi e si aveva l’idea che la ricerca non avrebbe prodotto altro e questo ha portato a non investire. Di conseguenza
con il Referendum la scelta sul nucleare civile per la produzione di energia è sparita e la ricerca non è stata mantenuta perché non sono stati tutelati i centri di ricerca nemmeno per mantenere la competitività internazionale. In pratica il mondo accademico ha subito le scelte della società civile ossia l’avversione al nucleare che in qualche modo ha determinato le politiche scientifiche dell’Italia».
Cosa si studiava in quelli anni?
«All’Enea ad esempio negli anni 70 stavano studiando un nuovo filone di reattori più piccoli e quindi intrinsecamente più sicuri che si autofertilizzavano ed usavano neutroni veloci. Al Centro di Ricerche Enea Casaccia c’era un prototipo abbandonato dall’inizio degli anni 80 che unito alla mancanza di fondi ha provocato la diaspora dei ricercatori perché i migliori hanno ricevuto offerte dall’estero e sono andati via. Questo ha portato l’Italia a perdere il know-how che aveva sviluppato nel settore cosa che è avvenuta con molte altre tecnologie negli anni 80/90. Di fatto abbiamo perso i nostri migliori ricercatori avvantaggiando le grandi superpotenze quando l’Italia nel 1966 era terza al mondo per la produzione di energia elettrica da fonte nucleare. Avevamo installate 5 centrali sul territorio nazionale».
Cosa ne pensa della crisi energetica che dovrà affrontare l’Italia e l’Europa?
«Io sono negativo l’impero romano è crollato perché l’Occidente non può crollare?
Le risorse energetiche nel mondo sono finite le vie che avevamo trovato sono in qualche modo non più percorribili o lo sono con un costo elevato. Il nucleare poteva essere reso sicuro ma i privati non investono se non hanno un ritorno certo, infatti le ultime centrali nel mondo solo state costruite con un forte finanziamento statale. Mentre l’energia pulita prodotta dalla fusione nucleare di cui si parla tanto se ci sarà avverrà tra qualche centinaio di anni».
Dopo tutti questi anni cosa ne pensa della scelta di dismettere le centrali e il conseguente smantellamento della ricerca nucleare?
«Con il senno di poi pensò che sia stata una scelta sbagliata, più legata agli aspetti di produzioni che a quelli scientifici. Avremmo potuto rendere sicuro il nucleare. Sicuramente non saremmo tornati al carbone. Noi siamo tra i 7 paesi che producono più articoli scientifici al mondo. Abbiamo tante potenzialità e un’università competitiva perché noi costruiamo un punto di vista non una professione».