Jim Carrey si ritira con Sonic e ha solo ragione

Jim Carrey si ritira con Sonic e ha solo ragione

Assieme alla conferma che Sonic 2 è un ottimo prodotto di intrattenimento per l’infanzia come lo era il primo, nonché uno dei film tratti da videogiochi più convincenti di sempre, è arrivata anche una doccia più che fredda, gelida: Jim Carrey avrebbe intenzione di abbandonare le scene.


Per chi fin dagli anni ‘90 è cresciuto guardandolo sul piccolo e soprattutto grande schermo, il fatto che quello che molti indicano come il comico più geniale, originale e innovativo di sempre abbia deciso di appendere la sua maschera al chiodo è qualcosa di traumatizzante, anzi di triste e malinconico. 
Ma a dircela tutta forse era anche prevedibile, forse nella realtà i segnali c’erano già da molto tempo.

Una risata che ha conquistato il mondo

La stessa storia di Jim Carrey lo rende un personaggio davvero difficile da non amare. Cresciuto in situazioni economiche davvero difficili tra Stati Uniti e Canada, fin dall’infanzia si dimostrò un talento precoce e inesauribile di comicità sia a livello di espressività fisica che di linguaggio.


Neppure maggiorenne riuscì in qualche modo a mettersi in mostra nella stand-up comedy e nei vari show di Los Angeles. Tra piccoli ruoli e comparsate, mentre si faceva notare con personaggi ed interpretazioni provocatorie e di totale rottura per i canoni dell’epoca, non gli mancavano critiche, molto spesso feroci, per come era in perfetto contrasto con il clima ancora bigotto e oscurantista dell’epoca.


The Duck Factory, In Living Color, furono i cavalli di Troia con cui Jim Carrey fece pian piano breccia negli occhi nel cuore del pubblico americano attraverso la scatola catodica. Un pubblico che non vedeva l’ora di trovare una novità, qualcuno che sapesse farli ridere come non gli capitava da tanto, troppo tempo. 
Ma il successo era inevitabile in virtù di una espressività camaleontica e semplicemente sensazionale, che forse non ha veramente pari nella storia, nonché di una capacità incredibile di donare energia, dissacrante ironia e in ultima analisi di decostruire anche il mito machista tipicamente americano.


Ace Ventura, The Mask e Scemo & più scemo nella metà degli anni ’90 lo fecero improvvisamente a balzare agli onori della gloria mondiale, lo resero la grande promessa della comicità americana, che dopo Eddie Murphy non era più riuscita a partorire un volto iconico.


Lui è stato quel volto, anzi è stato molti volti, con le sue imitazioni di star dello spettacolo e di personaggi comuni, diventando in breve una sorta di Charlot 2.0, lo sfigato pasticcione e perdente dal cuore d’oro vittima di mille disavventure. Ma sapeva anche essere l’immagine del medio-man meschino e furbastro.


Era talmente bravo, che riuscì persino a uscire con le ossa intatte da un tonfo come fu Batman Forever, e poi ripartire come un razzo a dispetto di un flop come Il Rompiscatole, prima con Bugiardo-Bugiardo e poi con quel capolavoro che fu The Truman Show.



Molto più di un semplice comico

Il film di Peter Weir, è stato senza ombra di dubbio quello per il quale questo principe della risata verrà per sempre ricordato, una perla della cinematografia che assieme a The Matrix è con ogni probabilità l’opera più profetica sul XXI secolo che si sia mai vista.


Il fatto che Carrey non sia stato neppure candidato all’Oscar come Miglior Attore Protagonista ancora oggi grida rabbia e vendetta, persino per chi tra di noi ricorda con grande affetto la vittoria di Roberto Benigni per La Vita è Bella. 
La verità è che quel film è tanto più importante, quanto dimostrazione di quanto Jim Carrey a conti fatti sia un interprete straordinario ed universale, dotato di una capacità sensazionale di esprimere ogni tipo di emozione, ma soprattutto di sapersi anche confrontare con generi molto diversi dalla commedia demenziale. 
Anzi è più esatto dire che abbia fatto della commedia una sorta di veicolo all’interno del quale trasportare anche una visione della vita, la distruzione del sogno americano, l’epica del malinconico sconfitto fedele a sé stesso. 
Solo l’anno dopo lo dimostrò in Man on the Moon, per poi tornare a farci sorridere accarezzando le note sincopate della follia con Io, Me & Irene, diventare ancora una volta il simpatico villain in Il Grinch e commuoverci in The Majestic. 
Ad inizio anni 2000, con Una Settimana da Dio, creò una delle commedie più intelligenti e interessanti che si ricordino, una sferzata al mito yuppie e arrivista che tornava di moda, proprio mentre l’America ottimista e gioiosa degli anni ‘90 abbracciava la tragedia dell’11 settembre.


Solo tre anni più tardi, lasciò tutti di stucco con un altro film struggente e malinconico, diventava uno di noi poveri incapaci di amare con convizione con Eternal Sunshine of the Spotless Mind, forse il film sui sentimenti più iconico del XXI secolo.





Se non si può ridere, Pagliacci non serve più

Number 23, Lemony Snicket, Yes Man, A Christmas Carol, Kick-Ass 2, Colpo di Fulmine, Dark Crimes… A guardare l’elenco con cui ha via via però sempre più diradato la sua presenza sul grande schermo, c’è anche da riflettere sul fatto che bene o male andando avanti, la libertà di azione di Jim Carrey si è progressivamente ridotta. 
Perché? Per come la commedia è diventata sempre più merce rara, così come anche quella autorialità intimista ed esistenziale ma fantasiosa, a cui ha saputo legarsi con prove attoriali sontuose, ma che sono state di volta in volta sempre ignorate dalla Academy.


La sua stessa natura di interprete universale ma ibrido, lo ha sempre reso bene o male una sorta di meteora perenne all’interno del firmamento Hollywoodiano. Jim Carrey vendeva, faceva incassare, ma non era inquadrabile, non era definibile in un modo definitivo, non era esportabile un tanto al chilo. 
La sua libertà gli è così cara che ora si vuole ritirare. “Perché?” si chiedono molti. Ma perché no? Rispondo io. Oggi non si può praticamente più ridere, viviamo in un’epoca dell’ipersensibilità tossica in virtù della quale la risata è peccato, è crimine, è odio nei confronti di chi la vuole creare, quella risata che lui ha sempre perseguito e sempre portato in alto come porta verso la riflessione e l’analisi di noi stessi e della nostra società. Quanta tristezza metteva assieme a Jeff Daniels nel 1994 tra una gag e l’altra?


Vale anche per il piccolo schermo, a parte il suo Kidding non ha trovato spazio, ma poi cosa potrebbe fare oggi come oggi? Pensiamo a Colpo di Fulmine, dove interpretava un truffatore gay al fianco di Ewan McGregor. Come oggi potrebbe rifare tale ruolo, senza tirarsi addosso miliardi di critiche diverse e una marea di sdegnoso odio, ora che pare che il mestiere di un attore sia semplicemente interpretare quello che è già, senza imitare mai nessuno?


Lui è sempre stato il Re dell’imitazione e della trasfigurazione, come chiave per leggere la realtà, ma oggi noi non vogliamo la realtà ma solo la sua immagine. Jim Carrey ha capito che non c’è spazio per la sua verità, ma solo per una sua ombra con cui sentirci migliori per finta. Forse pensa di aver dato tutto, o forse la realtà è che in fin dei conti si è stancato di essere Pagliacci, il grande clown che era l’unico a non ridere. Meglio congedarsi con Sonic, per i bambini, loro che sanno che ridere di tutto è l’unica cosa per affrontare la vita seriamente.  

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