venerdì, 15 Novembre 2024
La riforma della giustizia: un flop con una sola speranza
Viene proprio da domandarsi perché mai l’Associazione nazionale magistrati, il sindacato più politicamente rilevante d’Italia, sia tanto inquieta per la riforma dell’ordinamento giudiziario che porta il nome del ministro della Giustizia, Marta Cartabia. Eppure oggi tutte le correnti della categoria, dall’estrema sinistra di Magistratura democratica-Area fino a quelle più «moderate», chiedono all’Anm di proclamare lo stato di agitazione e di prepararsi a un duro periodo di scioperi dopo Pasqua. Non lo facevano, a memoria d’uomo, dai tempi dei governi dell’odiato Silvio Berlusconi, quando presidente dell’Anm era quel Luca Palamara che da due anni, divenuto ex leader di corrente ed ex magistrato, tuona contro la sua stessa categoria e racconta nei libri le nefandezze (anche politiche) di cui quello che definisce «il Sistema» era ed è capace.
Viene davvero da domandarsi il perché di tanta agitazione, tra i magistrati sindacalizzati. In effetti anche il più ottimista dei garantisti, posto di fronte alla riforma Cartabia, non riesce proprio a intravvedere quel punto di svolta definitivo e decisivo, quella rivoluzione che sembra fare tanta paura alle toghe, e che in effetti sarebbe tanto auspicabile. La separazione delle carriere non c’è, malgrado tutti gli sforzi del centrodestra (del resto, il Parlamento non ha nemmeno iniziato a discutere la proposta di legge d’iniziativa popolare presentata nel 2020 dall’Unione delle camere penali): l’unico miglioramento, in questo senso, è la decisione di rendere possibile un solo passaggio tra le funzioni di magistrato giudicante e requirente, il che è meglio di niente. Le correnti però restano intatte nei loro privilegi e nella loro libertà di manovrare carriere e promozioni nelle più oscure làtebre del Consiglio superiore della magistratura. Anche la riforma del sistema elettorale del Csm lascia la situazione praticamente inalterata. E i magistrati restano intoccabili, una casta più irresponsabile e più potente di quella dei bramini in India: la possibilità di reclamare una loro responsabilità civile, del resto, è stata salvata anche dalla Corte costituzionale che – con qualche perplessità subito silenziata dai mass media – mesi fa ha negato la possibilità di svolgere il referendum popolare su quel punto.
L’unica nota veramente positiva viene dall’approvazione dell’emendamento presentato da Enrico Costa, deputato di Azione, che introduce il «fascicolo di performance», che segnalerà l’indice delle positività e delle anomalie nella vita professionale di ogni magistrato. È, di fatto, lo strumento per una seria valutazione di professionalità. Va detto, però, che il «fascicolo» è stato demonizzato dall’Anm come il bastone che trasformerebbe i magistrati in burocrati impauriti. E subito il Partito democratico e il Movimento 5 stelle, che in Parlamento compongono la tetragona maggioranza filo-magistratura, si sono adeguati a quella posizione con una serie di critiche.
Costa, che è avvocato penalista, sostiene che la sua iniziativa «permetterà finalmente di monitorare le attività del singolo giudice o pubblico ministero, le loro performance e i loro meriti, ma anche gli errori, le inchieste flop, le sentenze ribaltate e gli arresti ingiusti».
Nessuna schedatura, avverte, ma una «fotografia» della carriera. «È un’innovazione che consentirà a chi è più bravo, a chi lavora silenziosamente senza essere organico alle correnti, di poter fare carriera», aggiunge. «La levata di scudi delle correnti, che minacciano la reazione corporativa di uno sciopero, dimostra chiaramente come temano di perdere il controllo che detengono grazie a quel 99% di valutazioni di professionalità che oggi sono sempre garantite positive».
Speriamo. Il problema, per il garantista pessimista, è che anche questa giusta innovazione verrà messa in mano al Csm. Riuscirà a trovare il coraggio di farla funzionare?