venerdì, 15 Novembre 2024
La sanità in Calabria: un incubo senza fine
La sanità in Calabria: un incubo senza fine
L’ultima vittima in ordine di tempo si chiamava Ginevra, aveva due anni ed è morta di Covid, nell’attesa disperata di trovare una postazione di ossigenazione extracorporea Ecmo che potesse salvarla. Era il mese di gennaio 2022 e tutta Italia, ancora una volta, ha aperto gli occhi sulla Calabria e su un servizio sanitario che, dopo 12 anni di commissariamento, ancora permette che un bambino muoia perché non c’è un posto in rianimazione.
La sanità calabrese, del resto, è un buco nero che negli anni scorsi ha ingoiato miliardi di euro. Nel frattempo, morivano migliaia di persone, altrettante scappavano –per salvarsi- verso ospedali funzionanti delle regioni del Nord, diverse ASP venivano sciolte per infiltrazioni mafiose in una situazione dove era persino impossibile trovare i bilanci degli enti: mai presentati, spesso nel silenzio inspiegabile anche dei controllori e in evidente violazione degli obblighi di contabilità pubblica. Non ci sono dati certi proprio per mancanza di libri contabili, ma per quanto riguarda, per esempio, l’ASP di Reggio Calabria, sciolta nel marzo del 2019 con motivazioni gravissime, tra le quali –si legge nella relazione che accompagnava il Dpr che ha ratificato la decisione del Governo- infiltrazioni mafiose in tutte le tipologie di attività, mancanza di gare d’appalto, forte collusione con soggetti interdetti dai pubblici uffici e indagati, presenza di impiegati pregiudicati e familiari di personaggi di spicco della malavita organizzata, il buco di bilancio e quindi il danno economico per la comunità potrebbe essere superiore a un miliardo di euro.
Anni di commissariamento e servizi inefficienti
Dopo 12 anni di commissariamento, i LEA (livelli essenziali di assistenza) dimostrano come la Calabria, con un punteggio pari a 125 quando il minimo è 160 sia, appunto, sotto la soglia di sufficienza: la penultima regione italiana nel garantire servizi e prestazioni che ai cittadini spettano per legge, peggio di lei solo la Sicilia. Inoltre, 300 milioni di euro (secondo i dati della Fondazione Gimbe), ogni anno, vanno ad arricchire sotto forma di rimborsi le regioni del Nord dove i calabresi vanno a farsi curare. Gli stessi calabresi ai quali, però, questa sanità regionale disastrata costa circa 100 milioni all’anno di Irap e Irpef. Adesso, dopo una pletora di commissari straordinari rimossi o dimissionari, che solo nei due anni di pandemia ha contato Saverio Cotticelli, ex generale dei Carabinieri (destituito), Giuseppe Zuccatelli già presidente Agenas (dimissionario), Eugenio Gaudio ex rettore dell’Università Sapienza (dimissionario) e il prefetto Guido Longo (destituito), la Sanità è nelle mani del presidente della Regione, Roberto Occhiuto: che dopo la morte della piccola Ginevra ha subito promesso dieci posti di terapia intensiva pediatrici, con attivazione anche della postazione Ecmo (che nei 4 posti ricavati a Cosenza nel reparto adulti non è autorizzata) che avrebbe potuto salvare la bambina.
Disastri nei Pronto Soccorso e medici in difficoltà
E se è vero che in ogni intervista e intervento rilasciato sul tema Sanità, il presidente Occhiuto si lamenta di aver trovato in Calabria “un vero e proprio disastro sanitario”, è anche vero che questo disastro è davvero sotto gli occhi di tutti, soprattutto dei medici: «Tutti questi numeri, scandali, commissariamenti, si riflettono in maniera drammatica sulla salute dei calabresi e sul lavoro dei medici» spiega il dottor Eugenio Corcioni, presidente dell’Ordine dei Medici di Cosenza. «Faccio un esempio molto semplice: nel 2010, per via del piano di rientro della sanità, oltre a operare tagli nei reparti che hanno comportato la diminuzione di quasi il 15% del personale, e a bloccare il turnover, sono stati chiusi 18 ospedali, tra i quali quello di Cariati, che serviva un territorio amplissimo. Adesso, l’ospedale più vicino dotato di unità di emodinamica, che per gli infartuati e i colpiti da ictus è fondamentale e fa la differenza tra la vita e la morte, dista 90 km ed è a Castrovillari. E non ci sono autostrade. Come le spieghiamo queste cose, ai nostri pazienti, ai loro familiari? Come possiamo noi medici non soccombere alla frustrazione?».
La frustrazione di essere pochi, con pochi mezzi, oberati dal lavoro e dallo stress. Al pronto soccorso dell’ospedale di Cosenza, nella serata di giovedì 14 aprile, mentre si celebravano i riti della settimana santa il “contatore” dei pazienti in attesa presenti in reparto segnava il numero 72, con un solo medico disponibile: «Situazione verificata con i miei occhi » prosegue Corcioni «In queste condizioni se un paziente si alza anche solo per andare in bagno perde la barella o la sedia, che viene subito occupata da un altro ammalato. Costringiamo i pazienti di pronto soccorso, sofferenti, soli perché i parenti non possono entrare, a non poter andare nel (peraltro) unico bagno del Pronto Soccorso. E negli altri ospedali della regione le cose non cambiano molto. Se questa vi sembra civiltà…»
2019: Decreto Calabria voluto dal governo Conte
E dire che il primo Governo di Giuseppe Conte, nella persona dell’allora ministro Giulia Grillo aveva pomposamente annunciato che, con il Decreto Calabria, sarebbe praticamente quasi iniziata una nuova era, nella disastrata regione.
Era il 19 giugno del 2019, la Grillo dichiarava «oggi è un giorno bellissimo per la sanità italiana, riportiamo il diritto alla salute in Calabria» ma fu chiaro molto presto che le speranze che venivano riposte in questo provvedimento sarebbero state fortemente disattese, considerando che l’unica vera novità consisteva in risorse aggiuntive per le indennità dei commissari straordinari, con aumenti di circa 50mila euro. Inoltre, i direttori generali -nominati dallo stesso Governo proprio in virtù del Decreto Calabria, contro il quale si è più volte scagliato l’allora presidente della regione, Mario Oliverio- sono andati a guadagnare circa 20.000 euro al mese, per un totale di 470.000 euro all’anno. Ciascuno, ovviamente. Nessun accenno, nel decreto Calabria, a risorse per la riqualificazione, nemmeno la presa di coscienza di una necessità di diminuire la “mobilità passiva” verso le altre Regioni (cioè i flussi di fondi che la Calabria versa alle altre regioni per le spese mediche dei propri cittadini) che costa più di 300 milioni di euro ogni anno, nessun piano di sviluppo.
Il presente della sanità calabrese
Dopo il Covid 19, la situazione –se possibile- è persino peggiorata rispetto agli anni precedenti. A parte il fatto che la Calabria, secondo i report della Corte dei Conti, ha speso solo 37 milioni di euro sui 115 ricevuti per fronteggiare la pandemia, oltre alla cronica mancanza di posti letto, di Pronto Soccorso e di prestazioni specialistiche, sussiste una drammatica carenza di medici e infermieri.
E la gente continua a morire perché non arriva in tempo in ospedale: «Una delle poche cose che funzionavano, fino a prima della pandemia» continua il presidente Corcioni «era il servizio 118, che con molte difficoltà riusciva a garantire le prestazioni. Le ambulanze arrivavano nei tempi stabiliti, ed erano medicalizzate. Certo, poi arrivavi in ospedale e trovavi la situazione descritta prima, ma quantomeno la prima assistenza fondamentale era garantita. Ora c’è stata la tempesta perfetta: le ambulanze sono molte di meno, i medici sono andati in pensione e non vengono sostituiti, anche perché i bandi vanno deserti: il nostro sistema sanitario non è attrattivo, anzi è repulsivo. Come può un giovane medico, o un giovane infermiere, desiderare lavorare qui, se poi troverà per esempio una “politica” di turni ospedalieri impossibili che di fatto lo priverà della sua vita costringendolo essere reperibili in pratica 7 giorni su 7 a causa della carenza di personale? E si badi bene; questo accade senza che ci sia carenza di laureati in medicina, peraltro. Io iscrivo ogni anno circa 200 nuovi medici nel mio Ordine, e vanno tutti fuori».
E mentre troppe domande rimangono senza risposta, i bambini come Ginevra continueranno a morire. Scatenando grande commozione, e per qualche giorno anche molti buoni propositi. Per poi lasciare, di nuovo, la Calabria sola e abbandonata. E i suoi cittadini ammalati seduti sulle scomode sedie di un Pronto Soccorso, privati persino della possibilità di andare in bagno.