Letta lotta per il Quirinale ma parcheggia il partito dentro la Ztl

Che Enrico Letta finisse in una posizione difficile era nella logica degli eventi. Ha ereditato un PD che aveva puntato tutto su Giuseppe Conte, si è ritrovato in una crisi di governo e poi in un governo Draghi con la coalizione allargata alla Lega e a Forza Italia. Come se non bastasse lo stesso Conte ha poi assunto la leadership del Movimento 5 Stelle, partito con cui il PD stava cercando di costruire una alleanza strutturale.

Letta ha dovuto ingoiare l’amaro calice di un governo con la destra che ha fatto venire meno il processo di delegittimazione dell’avversario, dipinto come anti-europeista, nazionalista, becero, su cui i democratici hanno prosperato politicamente negli ultimi dieci anni. Il segretario del PD, dunque, ha poche frecce al suo arco politico.

E’ difficile averne dopo dieci anni quasi continui di governo ed è complicato lanciare messaggi politici chiari quando a Palazzo Chigi c’è una leadership tecnocratica come quella di Draghi. Certo qualche vantaggio nel prendere il timone nella burrasca Letta l’ha ottenuta poiché lui e l’altro ex premier PD Gentiloni hanno prima emarginato gli ex DS Zingaretti e Bettini dalla Segreteria e poi piazzato gran parte del sottogoverno che conta. Tuttavia, il potere dell’amministrare va distinto dal fare politica ed è in questo secondo ambito che la campagna di Letta appare debole.

In primo luogo questa debolezza si riscontra nei contenuti. Le uscite pubbliche del nuovo segretario sono state tutte all’insegna del già visto e sentito. Voto ai sedicenni, ius soli, maggiore integrazione europea, diritti civili sono battaglie storiche dei democratici ma sono anche moneta politica vecchia. Quella moneta che, ad esempio, ha condotto il Pd al disastroso risultato del 2018. La leadership allora era di Matteo Renzi, ma il pacchetto ideologico e l’atteggiamento pedagogico verso gli italiani non allineati al pensiero progressista era grosso modo lo stesso di oggi. Tuttavia, nel 2021 perseverare su quella china è ancora più diabolico poiché in mezzo ci sono quattordici mesi di lockdown. Ed è quasi certo che le preoccupazioni della stragrande maggioranza del paese siano rivolte alla situazione sanitaria ed economica più che al DDL Zan. Questa linea sconta non solo un problema di distacco dal paese reale, ma anche di eccessivo arroccamento politico. Letta continua a parlare solamente agli elettori del centrosinistra, ma se si guardano i sondaggi è evidente che oggi la maggioranza sia a destra. Come si spera di poter aumentare i consensi del PD se non si cercano i voti di chi è nel recinto opposto?

Siamo sempre al solito punto e cioè al senso di superiorità antropologica della sinistra rispetto all’altra metà (abbondante) dell’elettorato italiano. La situazione è per altro aggravata proprio dalla discesa nell’arena di Giuseppe Conte. Come ha giustamente notato Stefano Folli i due ex premier si contendono “una poltrona per due” e la sedia è quella di leader del centrosinistra.

La corsa inizierà con le amministrative del prossimo autunno, ma è già evidente che le due offerte tenderanno alla sovrapposizione e non sarà facile per il Partito Democratico spostare lo zoccolo duro del Movimento. C’è poi un secondo problema ed è interno alla maggioranza di governo. Sotto la pressione del partito e della concorrenza pentastellata Letta è costretto ad attaccare la Lega praticamente ogni giorno, dimenticando però che il partito di Salvini fa parte dello stesso governo e della maggioranza.

Il tentativo maldestro è quello di spingere fuori dal governo una Lega che abilmente rivendica le proprie posizioni ma senza esasperare i toni. In questo contesto, dunque, le reazione di Letta appare eccessiva e rischia di suscitare l’indisposizione proprio del Presidente del Consiglio. Come si può governare con il segretario del Pd che quasi ogni giorno rimarca sulla stampa “o la Lega segue la nostra linea oppure vada fuori dalla maggioranza”? È un modus operandi che imbarazza Palazzo Chigi ed indebolisce il PD, costretto ancora a definirsi solamente per opposizione all’avversario politico con cui paradossalmente governa.

Nessuno ha capito ancora quali progetti economici ed infrastrutturali il Pd persegua con il Recovery Plan ad esempio, per tacere di quale modello di sistema giudiziario abbiano in mente i democratici, ma ogni giorno Letta si scaglia contro le riaperture decise da Mario Draghi e non solo dalla Lega. Una buona idea? Dopo tanti mesi di lockdown quella di Letta appare la strategia migliore per alienarsi del tutto la simpatia di imprenditori, commercianti e partite iva. Il PD resta ciò che è diventato: il partito delle ZTL, dei dipendenti pubblici, dei pensionati, dei professori e degli intellettuali. E così facendo si condanna alla vocazione minoritaria, pur potendo contare su un controllo capillare degli apparati e del favore di gran parte dei media.

Difficile che questa forma di potere da “partito dello Stato” possa bastare per governare ancora dopo il prossimo voto nazionale e ancor meno che possa servire a rilanciare un paese che necessita di una disperata cooperazione tra pubblico e privato. Senza contare che tra Movimento 5 Stelle e altri partiti di centrosinistra Letta sarà costretto a dividere lo scettro con tanti altri regni qualunque sia la prossima legge elettorale. Naturalmente Letta ha una freccia al suo arco ed è l’elezione del Presidente della Repubblica. I candidati della sinistra cattolica sono numerosi, sempre se si vuole escludere del tutto una eventuale rielezione di Mattarella, e se c’è un accordo con Renzi la vecchia maggioranza dal quarto scrutinio ha i numeri, pur risicati, per farcela. Ed è lo schema che il Segretario del PD ha in mente. Per il centrodestra sarebbe una Waterloo oltre che la probabile fine di questa maggioranza. Ed è li che si misurerà l’abilità politica di Lega e Forza Italia poiché vi è un solo candidato possibile che può emergere per far saltare lo schema Letta. Quel candidato si chiama Mario Draghi.

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