Boris Johnson salvo, a metà

Boris Johnson ce l’ha fatta. Il premier britannico è sopravvissuto a un voto di sfiducia del suo partito, ottenendo 211 voti a favore e 148 contrari. Una vittoria, sì, ma che comunque pone un significativo campanello d’allarme. Come sottolineato dal Guardian, circa il 40% dei parlamentari conservatori si sono infatti espressi contro l’inquilino di Downing Street.

La mozione di sfiducia era stata avviata, dopo che almeno il 15% dei parlamentari conservatori (cioè almeno 54 su 359) ne aveva fatto richiesta alla Commissione 1922. Per restare in carica, il premier aveva quindi bisogno di almeno 180 voti a favore. Alla base della mozione vi erano principalmente le questioni legate al cosiddetto Partygate, sebbene il deputato conservatore Jesse Norman avesse espresso anche critiche sulla linea politica del governo di Johnson. Teoricamente, con questa vittoria, il premier dovrebbe adesso essere al sicuro da ulteriori tentativi di destituzione per un anno: il condizionale tuttavia è d’obbligo, visto che il partito potrebbe decidere di cambiare le regole in corso d’opera.

Il vero problema per Johnson adesso è che si ritrova alla guida di una compagine spaccata in due e che i suoi avversari interni potrebbero organizzare una fronda per cercare di mettergli i bastoni tra le ruote. Il premier deve quindi tentare in tutti i modi di evitare quello che fu il destino di Theresa May, la quale sopravvisse (col 63% dei voti) a una mozione di sfiducia interna sul finire del 2018, ritrovandosi poi in difficoltà e di fatto costretta a dimettersi nel maggio dell’anno successivo. Era del resto scarsamente probabile che i ribelli del partito si aspettassero veramente di riuscire a destituire Johnson già stasera. Molto più verosimile è che, dal loro punto di vista, questa mozione di sfiducia sia da interpretarsi come il primo atto di una strategia di logoramento a lungo termine. Per questo, se vuole evitare di fare la fine della May, il premier deve giocare d’anticipo, facendo ben attenzione all’opposizione interna e agli strali dei laburisti, che adesso tenteranno prevedibilmente di approfittare della situazione per colpirlo.

Il punto è che l’attuale impopolarità di Johnson ha radici ben più profonde del Partygate: vari sondaggi hanno infatti messo in luce come il malcontento dei britannici nasca dalla crisi economica e dall’alto costo della vita. Nonostante una disoccupazione bassissima, il nodo riguarda i salari, che da molti sono giudicati inadeguati. Questa è la sfida che sarà pertanto chiamato ad affrontare Johnson nei prossimi mesi. Non sarà facile, con il partito in subbuglio. Ma va anche detto che, ad oggi, nel panorama politico britannico non si vedono leadership seriamente alternative a quella dell’attuale primo ministro. Johnson ha sempre trovato la propria forza nella capacità di sparigliare le carte e nel sapersi muovere in modo elettoralmente trasversale. Solo ritrovando quello slancio può invertire la tendenza. E sconfessare chi già in queste ore sta dicendo che il suo declino politico sarebbe ormai inesorabile.

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