L’Europa punta sul fotovoltaico ma si offre alla dipendenza dalla Cina

Da quando è partita la transizione ecologica e soprattutto da quando la guerra in Ucraina ci ha sbattuto in faccia la nostra dipendenza dal gas russo non si fa altro che parlare di energie verdi grazie alle quali l’Europa potrà raggiungere una sua indipendenza energetica, per di più rispettando la sostenibilità ambientale. Tutto bello, tutto perfetto, sulla carta.

Ma siamo certi di avere le carte in regola e che tutto stia andando secondo i piani? Ad esempio una delle strategie che l’Europa ha messo in campo per produrre energia verde è il fotovoltaico arrivando ad investire parte dei 300 miliardi previsti nel Piano Repower Eu. Peccato che i pannelli fotovoltaici siano per lo più prodotti solo in Cina che proprio all’Europa vende il 60% della sua produzione. Così per arrivare al traguardo previsto entro il 2027 l’Europa rischia di passare dalla padella alla brace, di liberarsi cioè dalla dipendenza da Mosca con quella da Pechino. Il motivo? Semplice. L’Europa non è in grado di produrre né i pannelli né il silicio che richiede per la sua lavorazione un grosso dispendio di energia elettrica. Infatti questa materia nonostante si trovi ovunque viene lavorata solo in Paesi in cui il prezzo dell’elettricità è bassissimo, il che ci esclude immediatamente e ci lega irrimediabilmente alla Cina.

«A prescindere dalle problematiche contingenti il fotovoltaico è la fonte di energia che costa meno – spiega Paolo Mutti Ingegnere Nucleare con un master in Scienze dei Materiali all’Università di Oxford, che ha svolto in questi anni attività di ricerca nel campo del silicio registrando oltre 60 brevetti tecnologici – Nel 2007 quando erano stati istituiti degli incentivi con il Conto Energia l’Italia era il faro su un mercato che cresceva. Sicuramente allora non ci fu una visione industriale del fenomeno e quindi dal punto di vista degli incentivi era molto remunerativo mettere i pannelli fotovoltaici. In quelli anni c’era anche una circostanza un po’ particolare. La Cina aveva necessità di cambiare il proprio posizionamento industriale e quindi si assistette ad una crescita abnorme della capacità di produzione del fotovoltaico in Cina. Nel 2011 la Cina aveva 2 o tre volte la capacità necessaria di rispondere alla domanda e ci fu un eccesso di produzione eccessivo che spazzò via il mercato occidentale di cui oggi non é rimasto praticamente più niente».

Quindi per lei ora è arrivato il momento di ricominciare a produrre?

«Dipende dalla visione del mondo. Fino all’altro ieri era una visione globale. Quindi era irrilevante che il modulo fosse costruito in Italia piuttosto che a Shangai. L’importante era che fosse costruito. Con l’arrivo del Covid sono risultati problematici i costi di spedizione ossia la famosa logistica e quindi questo ha scatenato una serie di riflessioni nel mondo occidentale, nel senso che si è ridiscusso il fatto di avere spostato tutta la produzione in paesi considerati poco affidabili. Adesso potrebbe essere tardi per cercare di riprendere la capacità produttiva del fotovoltaico perché la produzione in Cina è di ottima qualità e a basso prezzo ma dobbiamo cogliere questa opportunità per provare ad avere nel nostro Paese delle produzioni strategiche».

L’Europa perché non produce silicio per i pannelli fotovoltaici?

«Il silicio è un elemento che ha una serie di proprietà e appartiene al mondo dei semi conduttori. Infatti tutta l’elettronica non solo il fotovoltaico è basata su questo materiale che è ovunque nel mondo. Ma non si trova nella sua forma elementare come tutti i materiali che si trasformano. Il silicio è nella sabbia ed è poco costoso da produrre ma se uno vuole farci dei dispositivi elettronici e dei dispositivi fotovoltaici (si chiamano diodi) allora il silicio deve essere purificato e portato in fase liquida o gassosa. Cosi la storia è più lunga. Nasce come silice e viene estratto e venduto a chilogrammi ma poi viene di nuovo sciolto, trasformato in gas e poi ritrasformato in forma solida. Tutte queste fasi possono essere fatte dove si vuole perché a differenza degli altri materiali il silicio è ovunque. Il tema è quanto costa trasformare il silicio in quella forma di purezza utile al fotovoltaico e all’elettronica. In quel caso il maggior costo da sostenere è elettrico. Per questo il silicio può star bene in quelle aree dove il costo dell’elettricità è il più basso possibile che non sono sicuramente l’Italia o l’Europa ma sono aree specifiche del nord della Cina dove la corrente elettrica ha un costo bassissimo».

Dove si trova la filiera produttiva del silicio?

«Tutta questa filiera produttiva è in Cina ora non é più a Taiwan dove la quantità di impianti messi su ha fatto si che i prezzi non fossero più competitivi. Comunque l’isola è rimasta forte per la produzione di silicio per l’elettronica ma il fotovoltaico è tutto cinese e se dovessimo farlo noi costerebbe tutto di più. In realtà qualcosa si sta facendo in Sicilia e Germania. C’è un ripresa di energie innovative. Capisco la paura che succeda qualcosa a livello geopolitico con la Cina ci faccia riflettere ma ripeto bisognava pensarci prima e allo stesso tempo spero che sia l’occasione giusta per svegliarci e rilanciare la politica industriale dell’Italia. Io ho chiuso un’azienda del settore con 280 persone nel 2015 ma in quel momento non è importato a nessuno. Ora si scopre tutto di un tratto che abbiamo un problema. Noi popolo occidentale vogliamo che i pannelli costino poco perché questo è remunerativo per i nostri impianti e il nostro modo di produrre elettricità per il fotovoltaico e contemporaneamente vogliamo che questi pannelli siano fatti in Italia ma le due cose non staranno mai insieme. Per avere dei pannelli fatti in Europa il costo sarebbe di gran lunga più elevato e in molti dovrebbero rinunciare a qualche percentuale di ritorno. Secondo lei potrà mai accadere? ».
Che ne pensa dell’energia nucleare?
«L’investimento del nucleare è uno dei più costosi in assoluto e per il momento si puó bypassare perché abbiamo energie rinnovabili sufficienti se sfruttate. Ma sicuramente in termini di emissioni climalteranti è meglio del gas».

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