Marco Vannini, storia di un omicidio e di un processo

C’è un volto luminoso, bello di gioventù, buono fino a essere ingenuo, che è entrato nel cuore degli italiani. È quello di un ragazzo che non c’è più, strappato alla vita a vent’anni, proprio quando più si impegnava per realizzare il suo sogno, un sogno che fanno i bambini e che lui coltivava da grande: fare il pilota di aeroplani. È il volto di Marco Vannini, ucciso da un colpo di pistola sparato da Antonio Ciontoli, padre della sua fidanzata Martina, la sera del 17 maggio 2015 a Ladispoli. E c’è il volto di una madre coraggiosa che da cinque anni chiede giustizia.

È quello di mamma Marina, che col marito Valerio ha deciso di spendere la propria vita perché suo figlio abbia giustizia. Una leonessa che affrontò il giudice ad alta voce mentre questi, leggendo in aula, in piedi, in nome del popolo italiano, la sentenza di appello che riduceva la pena per l’assassino del figlio da 14 a 5 anni, riuscì a risponderle, urlando e battendo la mano sul tavolo e interrompendo la lettura della sentenza, che avrebbe denunciato per oltraggio alla Corte chi protestava in aula. Questi due volti, di Marco e della sua mamma, scolpiscono il distacco tra le aule dei tribunali e il popolo italiano nel cui nome si dice vengono emesse le sentenze.

Mai come in questo caso è unanime e trasversale, nel Paese, la condanna verso un sistema giudiziario che con lo scandalo Palamara ha mostrato che, oltre le inefficienze e le trascuratezze che lo contraddistingue da decenni, è amministrato con metodi criminali. I loro volti sono di nuovo protagonisti in un nuovo percorso giudiziario che, si spera, possa davvero fare giustizia.A Roma si è aperto il processo di appello bis per l’omicidio di Marco Vannini. Mamma Marina, presente come sempre, ha detto: “Non molliamo mai”.

I fatti

La sera del 17 maggio 2015 Marco Vannini è a cena a casa della fidanzata, con tutta la famiglia di lei. Marco fa il bagno, entra il padre della fidanzata, Antonio Ciontoli, gli mostra due pistole. Parte un colpo che ferisce Marco, solo apparentemente non in un punto vitale. La famiglia Ciontoli attende 20 minuti prima di chiamare l’ambulanza. Ma proprio le telefonate al 118 rivelano l’indole di un uomo che invece di prendersi le proprie responsabilità e salvare la vita al fidanzato della figlia, inventa una serie di menzogne sempre più incredibili.

Spalleggiato dalla famiglia, coesa per proteggersi con la menzogna che ha indossato come una seconda pelle dall’istante della deflagrazione del proiettile. Antonio Ciontoli, sottufficiale dell’Aereonautica distaccato ai servizi segreti italiani (assegnazione che pure meriterebbe un approfondimento giudiziario vista l’indole dell’uomo), all’operatore del 118 infatti riferisce di “un infortunio in vasca, è caduto e si è bucato un pochino con un pettine”. In sottofondo le urla di dolore di Marco Vannini. In realtà il proiettile gli ha perforato il polmone ed è arrivato fino al cuore. 110 minuti dopo essere stato ferito Marco muore in ospedale.

Il processo

La Cassazione, lo scorso 7 febbraio, nello stabilire l’appello bis appena iniziato, ha sentenziato che “la morte di Marco Vannini sopraggiunse dopo il colpo di pistola ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli” e che questi “rimase inerte ostacolando i soccorsi” e che la morte fu “la conseguenza sia delle lesioni causate dallo sparo che della mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto”.

Da quello sparo ad oggi ci sono state indagini lacunose, intercettazioni clamorose, raffiche di menzogne, dichiarazioni fuorvianti e corrette fino all’inverosimile da parte dei familiari, tre processi e altrettante condanne. Per concorso colposo nell’omicidio, in primo grado furono condannati a tre anni di reclusione anche Federico e Martina, figli di Ciontoli, e sua moglie Maria Pezzillo, per essere stati “spettatori del progressivo peggioramento” della vittima.

In appello l’omicidio fu riqualificato come “colposo”. la Cassazione ha disposto anche di riesaminare le posizioni della famiglia Ciontoli. Perché come emerge dalle telefonate al 118 e dalla testimonianza dell’infermiera, arrivata a soccorrere Marco esangue e semisvenuto, tutti sapevano che il ragazzo era grave ma avevano taciuto dello sparo, dicendo che “aveva avuto un attacco d’ansia, era scivolato su un pettine a punta”.

Tutti avevano la consapevolezza che ritardando i soccorsi, Marco, sul cui corpo avevano pure cercato “il foro d’uscita” del proiettile, sarebbe morto.

Tutti i familiari Ciontoli, per la Cassazione, “presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente: si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero una prima volta il numero telefonico dei soccorsi”.

La fidanzata di Marco, Martina, che pure era infermiera, alla collega del 118 disse “non sapere cosa fosse successo, perché lei non era stata presente”. Ma c’è un l’intercettazione ambientale “che la riprese mentre mima al fratello la scena dello sparo affermando espressamente di avervi assistito”.

Presente o meno che fu al momento dello sparo, è certo che accorse subito sul luogo” e che quindi – conclude la Cassazione su Martina – “ebbe sul fatto le stesse informazioni degli altri suoi familiari”.

La nuova sentenza arriverà probabilmente a settembre. Nel nuovo processo sarà ascoltata come testimone anche Viola Giorgini, fidanzata di Federico Ciontoli, il figlio dell’assassino. Anche lei era presente la sera in cui Marco Vannini venne ucciso ma è sempre uscita dai processi senza condanne.

Intanto, il nuovo appello, si è aperto con le dichiarazioni proprio di Federico Ciontoli. Che, a cinque anni di distanza dalla morte di Marco, ha dichiarato: “Non mi sono accorto della gravità delle condizioni di Marco. Mio padre diceva che si era spaventato per uno scherzo e io gli credetti perché non c’era nessuna ragione per non farlo”. Il cammino verso la giustizia è ancora lungo.

Processo Bis. Condannata la famiglia Ciontoli

Condannato a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale Antonio Ciontoli, padre della fidanzata di Marco, dalla cui pistola, il 17 maggio 2015, era partito il proiettile che ha ucciso Marco. È stata così rivalutata la pena di 5 anni per omicidio colposo che era stata sentenziata nel primo processo d’appello, cancellato dalla Cassazione. Ma la novità della nuova sentenza del secondo processo di appello, istruito appunto per la decisione della corte di Cassazione, riguarda i familiari che erano in casa a Ladispoli la sera del delitto. La corte di Assise d’Appello ha infatti condannato a 9 anni e quattro mesi anche la moglie di Antonio Ciontoli, Maria, e i due figli, Federico e Martina, fidanzata della vittima. Per loro il reato è concorso anomalo in omicidio volontario. La condotta della famiglia Ciontoli, dunque, configura un omicidio in concorso perché, benché tutti i presenti fossero a conoscenza di quanto accaduto, ritardavano e ostacolavano i soccorsi, provocando così la morte di Marco, spirato ben 110 minuti dopo il ferimento. Dopo la lettura della sentenza, la madre di Marco Vannini, Marina, ha detto: “La giustizia esiste, ma bisogna combattere per ottenerla”.

3 maggio 2021 – Cassazione

La Cassazione ha messo la parola fine sul processo per la morte di Marco Vannini. La corte ha confermato le condanne di secondo grado: 14 anni per Antonio Ciontoli e 9 anni e 4 mesi per la moglie, Maria Pezzillo, ed i figli Federico e Martina, la fidanzata della vittima.

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