sabato, 23 Novembre 2024
Jupiter’s Legacy – La recensione della serie tratta dal fumetto di Mark Millar
Dopo vent’anni di successi al cinema e in televisione, il genere supereroistico cerca di rinnovarsi in un panorama sempre più sovraffollato: non è un caso che le opere di stampo postmoderno (pensiamo a The Boys su Prime Video) attirino l’attenzione degli studios e delle piattaforme streaming, poiché consentono di rileggere i supereroi da una prospettiva revisionista, o quantomeno critica. Netflix l’ha già fatto con The Umbrella Academy, ma Jupiter’s Legacy decostruisce il “mito” con maggiore consapevolezza, rievocando la storia del fumetto e quella degli Stati Uniti d’America. Due linee che tradizionalmente si intersecano, perché “il mondo fuori dalla finestra” – per citare l’espressione di Stan Lee – non è mai un corpo estraneo.
Mark Millar, in effetti, si è ispirato alla Grande recessione del 2008 per creare l’omonimo fumetto, pubblicato dalla Image Comics a partire dal 2013. Sceneggiatore iconoclasta, Millar ama cogliere di sorpresa anche il lettore più navigato, cercando angolazioni insolite o poco rassicuranti da cui inquadrare gli eroi più grandi della Terra (Civil War e Marvel Knights Spider-Man, in tal senso, sono piuttosto emblematici). Quando lavora su personaggi originali, il suo sguardo è sempre rivolto alla tradizione supereroistica con cui è cresciuto, e che vede come un modello da omaggiare o ribaltare. Ovviamente Jupiter’s Legacy non è Kick-Ass, ma anche qui si percepisce l’approccio da guastatore del fumettista scozzese, seppure all’interno di binari più canonici.
L’Unione della Giustizia
La serie ci proietta in un universo narrativo già stabilito, senza preamboli. È il nostro mondo, caratterizzato dagli stessi eventi storici, solo che qui esiste un gruppo di supereroi chiamato Unione della Giustizia, formatosi nei primi anni Trenta. La Terra è quindi popolata da vari supereroi e supercattivi, con superpoteri e tecnologie straordinarie. Il leader della squadra è Sheldon Sampson (Josh Duhamel), alias Utopian: anziano ma ancora vigoroso, ha praticamente gli stessi poteri di Superman, e segue un rigido codice che impone ai supereroi di non uccidere, non governare, non fare politica; possono solo “ispirare” la popolazione, come modelli di virtù e saggezza. Sua moglie è Grace / Lady Liberty (Leslie Bibb), mentre i figli Bradon (Andrew Horton) e Chloe (Elena Kampouris) hanno preso strade diverse: se Brandon cerca di seguire le orme del padre, Chloe vuole invece distaccarsene, e lavora come modella. Entrambi hanno gli stessi poteri del genitore.
Della squadra fanno parte anche altri eroi, tra cui Walter Sampson / Brainwave, il fratello di Sheldon. Pur essendo molto legati, i due Sampson hanno idee molto diverse: Sheldon vuole restare fedele al codice, mentre Walter crede che i supereroi non possano più limitarsi a combattere i supercriminali, ma debbano assumere un ruolo di guida (non solo spirituale) per i cittadini. Intanto, la nuova generazione di eroi fatica ad adattarsi al codice, anche perché i loro poteri sono ereditari, non hanno dovuto faticare per ottenerli. La narrazione del presente si alterna a quella del passato, riportandoci al crollo della borsa di New York nel 1929: scopriamo così che il padre di Sheldon e Walter era proprietario di un’importante acciaieria, e che la Grande depressione pose le basi per le origini dell’Unione. I due fratelli, Grace e gli altri membri fondatori affrontarono infatti un viaggio periglioso che culminò nell’acquisizione dei rispettivi poteri.
Intanto, ai giorni nostri, la solidità dell’Unione vacilla sia per i conflitti interni sia per un misterioso complotto che sembra opera di Skyfox (Matt Lanter). Quest’ultimo era il migliore amico di Sheldon, ha fondato il supergruppo insieme a lui, ma è diventato il suo più grande avversario perché non ne condivideva il famoso codice.
Un lungo incipit
L’avvio in medias res è uno degli aspetti più spiazzanti di Jupiter’s Legacy, che fin dall’inizio imposta un dialogo fra passato e presente. Sul piano storico, abbiamo sia la Grande depressione sia la Grande recessione: le due maggiori crisi economiche nella storia del capitalismo incorniciano la serie, e innescano gli eventi delle rispettive linee temporali. Il disequilibrio è però molto evidente. I flashback negli anni Trenta dedicano molto spazio al contesto storico, che plasma il futuro dei protagonisti e genera le condizioni della loro metamorfosi; nel presente, al contrario, gli scarsi riferimenti politico-sociali sono circoscritti quasi solo al primo episodio, scritto e diretto dal creatore Stephen S. DeKnight (che poi ha lasciato la serie per divergenze creative). È arduo collegare il crepuscolo dei supereroi al declino dell’impero americano, che pure è uno dei temi centrali del fumetto: le otto puntate si concentrano infatti sulle vicende dei personaggi senza metterle in relazione all’ambiente, portando avanti una trama orizzontale elefantiaca che procede lentissima, con ben pochi sviluppi nell’arco della stagione.
L’impressione, insomma, è di assistere a un lunghissimo prologo che s’interrompe proprio quando la trama entra nel vivo. Alcune scelte non sono affatto banali (come il posizionamento della battaglia più grande della stagione, o il fatto che spesso l’azione si svolga fuori campo), ma l’eccessiva dilatazione della trama ostacola il coinvolgimento, e i personaggi non aiutano. In effetti, è difficile entrare in relazione con gli eroi di Jupiter’s Legacy, e il discorso vale anche per quelli più inquieti. I membri fondatori dell’Unione rappresentano la Golden Age dei fumetti, un’epoca in cui i supereroi erano figure semi-divine che dovevano fornire un esempio, un modello a cui aspirare. Ebbene, il peso della loro eredità grava tutto sui figli, che talvolta rievocano i protagonisti della Silver Age (come Brandon, che abbraccia in pieno il ruolo di supereroe ma è perseguitato da insicurezze), e in altri casi ricordano quelli della Bronze Age (come Chloe e Hutch, figlio di Skyfox, che rifiutano il retaggio dei padri e odiano i costumi coloriti). La loro caratterizzazione è però monodimensionale, o comunque troppo stereotipata per suscitare vero interesse. Così, anche il tema dell’eredità della Golden Age si dissipa nei piatti tormenti interiori di Brandon, o nelle scontate “trasgressioni” – in realtà banalissime – di Chloe.
Luci e colori
L’approccio disincantato alla materia traspare dalla sacrificabilità dei supereroi, che muoiono anche in modo cruento nel corso di battaglie piuttosto brutali (almeno, rispetto alla stragrande maggioranza dei cinecomic). Purtroppo, però, i personaggi sono trattati come figurine interscambiabili che stanno sullo sfondo, e questo per certi aspetti modera l’impatto delle loro dipartite: non sappiamo chi sono, ne vediamo a malapena i poteri e le uniformi variopinte. Vero è che gran parte dell’intrattenimento si basa sulla spettacolarità dei poteri stessi, e in tal senso Jupiter’s Legacy sa il fatto suo: le abilità sovrumane degli eroi sono rese con una certa originalità, puntando sull’effetto pirotecnico delle luci e dei colori.
Di contro, regia e produzione sono troppo “televisive”, nel vecchio senso del termine. In tempi di serie supereroistiche raffinate e di livello cinematografico (da Watchmen a quelle recenti dei Marvel Studios), Jupiter’s Legacy sembra ferma all’Arrowverse in termini di trucco, CGI e fotografia. L’invecchiamento dei membri fondatori, ad esempio, è goffo e poco credibile, mentre le scene d’azione risultano a volte un po’ troppo rigide.
Peccato, perché le ambizioni sono grandi e alcune intuizioni molto valide. Resta però la sensazione che le idee migliori non siano sviluppate a dovere, e non riescano mai a sbocciare in tutto il loro potenziale. La costruzione graduale dell’intreccio non giova alla serie, perché c’è ben poco da costruire: troppo spesso gli episodi girano a vuoto, sia nel presente sia nel passato. Un’eventuale seconda stagione potrebbe correggere questi limiti, magari contando su una maggiore stabilità nella writers room, senza passaggi di testimone fra showrunner. Staremo a vedere.