mercoledì, 27 Novembre 2024
La Germania frena la folle corsa al green
È iniziata, piegata dalla Ragion di Stato, la lunga marcia carsica di rallentamento delle politiche ambientali. Con il gas russo dimezzato, l’inflazione che sale, l’assenza di tecnologie capaci di garantire la stessa produzione del fossile in termini di volumi non c’è altra soluzione che il rallentamento della transizione ecologica, già caratterizzata da un eccesso di furore ideologico in tempi normali. Il fallimento della Cop-26 era stato il primo campanello d’allarme dell’insostenibilità di una transizione ecologica globale, con la guerra in Ucraina è poi arrivata l’emergenza energetica. La narrazione “ecologica” ha così subito un brusco arresto e le policy dovranno rimodularsi con modi diversi e tempi più lunghi.
Come sempre bisogna ampliare lo scenario per aver un quadro più completo. In vista del G7, da fonti tedesche è trapelata l’ipotesi di rivedere l’approccio green: si tornerà indietro sul disinvestimento per la ricerca e l’estrazione dei combustibili fossili all’estero. In altre parole, dal carbone, dal petrolio e dal gas non si può prescindere in questo momento e i paesi europei devono tornare a investire risorse sui fossili dopo anni di green washing dei produttori e ridirezionamento degli investimenti sulle energie pulite.
Pur se con incentivi e sussidi enormi il solare, l’eolico e le altre forme di energia pulita non sono sufficienti per fronteggiare i consumi. Rinunciarvi vuol dire mettere a rischio l’imponente produzione industriale tedesca. Lo dimostra la risposta alla proposta del premier italiano di introdurre un price cap sul gas. Prima per mezzo degli olandesi, e poi direttamente attraverso i propri ministri, il governo Scholz ha fatto sapere di non essere pronto a misure di distorsioni del mercato, quindi la discussione in sede europea è rinviata all’autunno, se mai ci sarà. Una sconfitta politica per Draghi, una prova di realismo e prudenza dei tedeschi che dimostrano di essere ancora il più influente paese europeo grazie anche ad una vasta gamma di alleanze. Cosa teme la prima potenza economica d’Europa? Una ritorsione di Vladimir Putin che ha già ridotto del 50% la fornitura che passa attraverso il gasdotto North Stream da cui dipende gran parte dell’autosufficienza energetica tedesca. Una ulteriore diminuzione delle forniture russa significa difficoltà ulteriore nel fare scorte ed un possibile scenario di scarsità e razionamenti nel prossimo inverno. La Germania ha già riaperto le centrali a carbone, così come l’Italia, marcando una clamorosa inversione ad U nella realizzazione dei piani “verdi”.
Il momento di euforia dell’ambientalismo è durato poco, sia per i limiti strutturali dell’idea sia per la guerra, nonostante la forte volontà della finanza internazionale di creare una nuova bolla speculativa. Ciò a cui stiamo assistendo è la costruzione di un assetto bellico intorno alle catene di approvvigionamento: chi ha la materia prima comanda e decide come gestire l’offerta. Anche le borse possono fare poco in questo caso, basti vedere l’annuncio della marcia indietro del grande fondo Blackrock proprio sugli investimenti green. L
’Europa non ha materie prime a sufficienza e quindi deve dimenarsi tra soluzioni politiche di compromesso – evitare che la Russia chiuda del tutto i rubinetti – e alzare i tassi, andando verosimilmente in recessione, per ridurre la domanda. Uno scenario di complicata gestione politica che può essere fronteggiato soltanto riducendo i piani della transizione ecologica. Ciò significa continuare ad investire sui giacimenti fossili, rafforzare i rapporti con i paesi produttori nel Golfo per diversificare l’approvvigionamento, avviare o non smantellare la produzione nucleare, riaprire o mantenere le centrali a gas o a carbone. L’elettrico può aspettare, anche perché l’elettricità è un vettore e non una fonte, come erroneamente creduto dalle tecnocrazie europee. I paesi europei in questo momento possono imporre sacrifici, forse anche fronteggiare una recessione, ma non possono in alcun modo permettersi di perdere l’industria. I tedeschi sembrano averlo finalmente capito, con tutte le prescrizioni di sana real politik che ne conseguono.