mercoledì, 27 Novembre 2024
Louis Vuitton, Loewe e Celine: creatività a confronto
Anche le storie più belle hanno una fine. E se Virgil Abloh ci aveva introdotto nel suo mondo accompagnandoci per mano lungo una strada di mattoni gialli, non potevamo che percorrere un’ultima volta quella stessa via per tornare in Kansas.
Si è svolta in uno dei corti del Louvre, l’ultima sfilata di Louis Vuitton, ultima celebrazione di Abloh – scomparso lo scorso novembre a soli 41 anni – e della sua eredità creativa. Una collezione collettiva, disegnata dalle persone che hanno lavorato accanto a lui durante tutti questi anni, cementando il cambiamento sociale che il creativo ha portato nel mondo del lusso come primo uomo di colore alla guida della Maison francese.
Mentre Kendrik Lamar – col capo adorno di una corona di spine disegnata da Tiffany & Co. e realizzata a otto mani in 1.300 ore di lavoro – ripeteva «Long live Virgil» (Lunga vita a Virgil, ndr), 43 look hanno percorso la passerella portando in scena l’idea di gioco che Abloh aveva una volta definito come «la visione incontaminata di un bambino, non ancora viziata dalla programmazione sociale».
«Al centro dello studio Louis Vuitton è la convinzione che l’immaginazione, la creatività, la maestria, creativa, l’artigianalità e la spettacolarità, possano emozionare e unire gli spettatori di tutto il mondo» si legge nella nota stampa. Ecco allora che l’iconografia originaria del parco giochi decora capi d’abbigliamento e accessori: aerei di carta origami, blocchi da costruzione, perline, texture e tonalità di pasta da gioco.
Le nuove sneakers «Le Boyhood» sfidano i volumi delle scarpe tradizionali e si tingono dei colori primari, abbinati a contrasto, con i lacci arricchiti da blocchi stile Lego o perline. Le borse si trasformano invece in furgoni per le consegne, barche di carta (abbinate ai cappelli in pelle origami) o biscotti, mentre il logo LV sembra fatto di pongo.
Gioca con l’immaginazione anche Jonathan Anderson, direttore creativo di Loewe. La sua ultima collezione è «una fusione tra l’organico e il manufatto». Uno scherzo della mente – o della tecnologia – che trasforma qualsiasi cosa in finzione.
Le forme sono così riportate alla loro crudezza archetipica, standardizzate e poi dilatate, ridotte, sezionate o lasciate intatte. Bomber, felpe e pantaloni sono realizzati in nappa imbottita o in cotone trattato con ozono che li fa sembrare come se fossero stati sepolti sottoterra. Sul cappotto di pelle si affastellano invece gadget tecnologici: auricolari, pen drive, custodie per il telefono, trasformando i capi in dispositivi di proiezione.
Ma quello che più sorprende e ci riporta – letteralmente – coi piedi per terra, è la collaborazione con la designer Paula Ulargui Escalona. «Ho trovato questa ragazza straordinaria che sta sperimentando la coltivazione di piante su tessuti e indumenti» ha spiegato Anderson prima di spiegare come la sua collezione in scena fosse stata seminata, annaffiata e coltivata per 20 giorni in un polytunnel fuori Parigi. Le piante di chia e l’erba di gatto, vegetazione viva, sono state fatte germogliare da scarpe da ginnastica, pantaloni di tute e jeans.
Una battaglia tra tecnologia e natura, metaverso e realtà, follia e creatività. Una visione poetica interpretata grazie alla tecnologia digitale che espande le percezioni e i confini della materialità dell’abbigliamento.
Loewe Plants Trousers
È un ritorno in grande stile quello di Hedi Slimane che, per presentare la sua ultima collezione per Celine, sceglie il Palais de Tokyo dove nel gennaio 2002 – quando la struttura era ancora incompiuta – fede il suo debutto alla guida di Dior Homme.
Vent’anni più tardi, è lui a concludere la settimana di presentazioni parigine – alle 21.30, giusto in tempo per correre all’after party tra performance musicali e pole dance improvvisate – proprio nello stesso monumentale edificio, circondato dalla folla. Slimane ha infatti invitato a presenziare in prima fila alla sua sfilata una serie di celebrità tra cui Lisa (cantante sudcoreana conosciuta sia come solista che come membro delle Blackpink) già ambasciatrice del marchio e Kim Taehyung – in arte V – uno dei sette componenti della band sudcoreana BTS che hanno recentemente annunciato che inizieranno a intraprendere progetti da solisti. Il giovane classe 1995, che ha aperto il suo account Instagram solo cinque mesi fa ma conta già 40 milioni di follower, può vantare un “brand value” di circa 773,000 dollari a post.
La celebrazione della carriera ventennale di Hedi Slimane non poteva avere sfondo migliore. La sua collezione, presentata in una delle ali del museo sotto mobili d’oro in stile Calder, immaginati del creativo, tra i giochi di luci che lo hanno reso famoso, rappresenta quello che Slimane sa fare meglio, fondere lusso e rock ’n’ roll. Nella sua «Bauhaus disfunzionale», lo stilista porta scie di perline, perle e cristalli. Non mancano i distintivi pantaloni stretti in pelle, gli occhiali da sole scuri e cravatte slim.
La nota stampa consegnata dopo la sfilata non menziona gli abiti, ma racconta la storia della band commissionata per la colonna sonora – Gustaf – e racchiude la biografia di David Weiss, le cui opere sono apparse come stampe e ricami. C’è persino un riferimento al Palais de Tokyo e i suoi 20 anni. Nemmeno una riga sui look, come se non ce ne fosse bisogno. E forse è proprio così per chi conosce Slimane, un creativo capace di raccontare il mondo di oggi senza mai perdere la sua visione, androgina e seduttiva.
Osservando le tre sfilate è possibile scattare una diapositiva dello stato della moda oggi. Ci troviamo infatti di fronte a tre creativi molto diversi, tutti con un opus molto distintivo.
Virgil Abloh è stato capace di rendere lo streetwear un’alternativa credibile anche nel settore del lusso e Louis Vuitton – così come il marchio da lui fondato, Off-White – faticheranno a dare una direzione altrettanto netta e riconoscibile.
Abbiamo poi Jonathan Anderson, assoluto innovatore, forse l’ultimo vero eclettico che dichiara sicuro di non credere nei trend, in grado di sorprendere, ma creando al tempo stesso un prodotto credibile e appetibile al mercato globale.
Infine abbiamo Hedi Slimane, il cui linguaggio androgino, rock e sensuale è riuscito a trascendere tre brand molto diversi tra loro come Dior, Saint Laurent e Celine.
Viene quasi spontaneo chiedersi: quanto conta il designer per il successo di un brand? Sembra che dopo alcuni anni pieni di cambiamenti, si stia inevitabilmente tornando – nella moda tutto torna – a una nuova concezione di designer “rockstar” come alla fine degli anni Novanta.