La difficile verità sulla tragedia della funivia del Mottarone

Nel momento in cui si piangono le vittime il silenzio è dovuto. Tuttavia subito dopo bisognerà comprendere perché una delle cabine della funivia Stresa-Mottarone sia precipitata a terra. Ovvero, prima delle colpe, bisogna trovare le cause e, se possibile, porvi rimedio perché tragedie come questa non possano più capitare. Lo abbiamo imparato da comparti come quello dell’aviazione e in generale dei trasporti, dove le tante regole che disciplinano l’attività sono state scritte dopo gli incidenti fatali. Non consola neanche un po’, sia chiaro, non restituisce la vita ai defunti e neppure allevia il dolore, ma affinché la sicurezza aumenti serve innanzi tutto capire se davvero una fune si sia spezzata e perché, oppure se a cedere sia stato qualche altro componente, o ancora se per qualche ragione – tutta da scoprire – la fune prima di strapparsi sia in realtà uscita dalle sedi di scorrimento, come se all’improvviso fosse mancato uno dei piloti. Sono ipotesi, dubbi. Ma i dubbi, ci hanno insegnato i filosofi, nella storia umana sono la base della ragione.

Insomma sarà necessario scoprire come mai, seppure una fune servisse per trainare la cabina e l’altra per sorreggerla, nonostante la presenza dei sistemi di frenatura d’emergenza che dovrebbero intervenire immediatamente in caso di avaria, sia potuto accadere un simile incidente.

E pensare che sugli impianti moderni sono installati sensori di diverso tipo e uno di questi serve proprio per tenere sotto controllo i movimenti delle funi. E’ montato tra le ruote dei carrelli sui piloni e misura la sua distanza da un punto noto, la posizione del cavo, che poi corrisponde all’appoggio nella scanalatura delle pulegge. Un’oscillazione è sempre presente, ma se questa distanza varia troppo (talvolta basta il vento), il sensore avverte chi controlla e si ferma l’impianto.

I tecnici che saranno incaricati dai giudici dovranno quindi comprendere anche perché la cabina non sia comunque rimasta appesa al cavo portante, come abbia potuto, prima della caduta, scivolare indietro fino a colpire uno dei piloni fracassando il suo sistema di “ammorsamento”, cioè quello che la tiene agganciata al cavo, e per questo motivo sia poi precipitata nel vuoto.

La dinamica da accertare appare terribile: un primo scontro con il pilone, poi quello con il terreno, quindi un rotolamento fino ai margini del bosco.

Il lavoro da fare ora è complesso e comincia con i rilievi sul luogo del disastro, che devono essere rapidi per evitare che fattori ambientali possano alterare alcune evidenze, continua con la fase documentale per dimostrare quali e quanti controlli siano stati eseguiti sull’impianto, coinvolgendo anche la società che li ha eseguiti, in questo caso la Leitner di Vipiteno che nel novembre 2020 condusse l’esame magnetoscopico alle funi. In pratica, usando un’apposita macchina si magnetizza un tratto di fune e questo essendo metallico comincia a emettere un campo magnetico composto da quelle che vengono definite “linee di forza”, la cui intensità si può misurare elettricamente. Se il diametro della fune o la sua composizione presentano anomalie, in quel punto la misura registra una variazione e si può quindi indagare sulle condizioni del cavo con molta precisione. Ma è strano perché sulla Stresa-Mottarone la prossima sostituzione delle funi sarebbe dovuta avvenire tra otto anni, dunque un tempo lungo che fa presupporre un ottimo stato di conservazione, almeno considerando la vita media di una di quelle lunghe trecce d’acciaio multiple arriva al doppio degli anni, e che l’ultima grande manutenzione era stata fatta nel 2016 con anche l’adeguamento normativo dell’intero impianto. Si dovrà accertare anche se il fatto di aver rimandato la riapertura dell’impianto a causa delle misure anti covid possa aver contribuito a generare una falla nelle procedure.

Difficilmente quindi avremo risposte immediate sulle cause, anche perché la statistica insegna che possono essere accaduti eventi sconosciuti anche agli operatori della funivia stessa, come un fulmine che possa aver colpito l’impianto danneggiando non tanto la meccanica del sistema (le funi sono più grosse di un parafulmine), quanto i sistemi elettronici che devono intervenire per azionare i freni d’emergenza. E in questo caso soltanto un sistema di diagnostica costantemente attivo può avvertire gli operatori della presenza di un malfunzionamento. Ci si potrebbe quindi trovare davanti a una doppia avaria: una fune che si spezza (comunque strano) e un sistema d’emergenza che non entra in funzione quando dovrebbe, mordendo il cavo portante in modo da bloccare la cabina in attesa dell’intervento degli operatori. Sarebbe finita con una discesa attraverso le scale di servizio, magari con un grande spavento. Ma nessuna tragedia. Ancora soltanto ipotesi e dubbi, che però sono il punto di partenza di una indagine che, evidenza dopo evidenza, dovrà portare ai motivi tecnici, ma forse anche agli aspetti di fattore umano, che hanno ucciso 14 persone.

Prove distruttive freno sulla fune portante funivia Solden 1988 youtu.be

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