Veleno, la docu-serie Amazon cerca la verità tra voci dissonanti

Veleno

Nella crescente rielaborazione dei casi di cronaca degli anni Novanta, Veleno si rivolge al libro di Pablo Trincia (e all’omonimo podcast) per tenere acceso il dibattito sui cosiddetti “Diavoli della Bassa Modenese”. L’espressione giornalistica, come spesso accade, trae la sua efficacia da un accostamento paradossale: il Male per antonomasia viene calato in un contesto sonnacchioso e provinciale, da cui nessuno si aspetterebbe qualcosa di turpe. Eppure, fu proprio nei piccoli centri di Mirandola e Massa Finalese che si sviluppò una delle vicende più nebulose della storia recente. Tra il 1997 e il 1998, in seguito alla denuncia di un minore, varie persone furono accusate di aver organizzato riti satanici in un cimitero, durante i quali avrebbero molestato sessualmente e ucciso dei bambini. Alcuni degli imputati furono condannati per abusi domestici, ma l’accusa di abuso rituale satanico cadde per assenza di prove, e la corte d’appello ebbe parole molto critiche verso le psicologhe che interrogarono i bambini, ree di averne influenzato e contaminato i ricordi. Nel frattempo, però, agli imputati sono stati sottratti i figli per darli in adozione.

L’inchiesta di Trincia è sfociata nel 2017 in uno dei podcast true crime più acclamati del panorama italiano, suscitando reazioni contrastanti: alcuni ne hanno apprezzato l’impegno a riesumare un caso da molti dimenticato, mentre altri non hanno gradito il punto di vista “partigiano”, che prende le parti degli accusati e mette in discussione gli inquirenti. La docu-serie di Amazon Prime Video cerca di ristabilire un equilibrio tra le due fazioni, dando voce anche a quelli che nel podcast non avevano trovato spazio, o si erano rifiutati di parlare. Un’operazione votata alla neutralità, ma è davvero possibile essere oggettivi in un documentario?

Botta e risposta

Pur essendo ufficialmente basata sul libro (al punto da condividerne il titolo), Veleno adotta uno sguardo ben diverso. Il documentarista inglese Hugo Berkeley si affida alla voce e al volto di Pablo Trincia, spesso ripreso in studio mentre registra il podcast, ma gli contrappone le voci di alcune vittime, dell’assistente sociale Valeria Donati, dello psicoterapeuta Claudio Foti (fondatore del discusso centro studi Hansel e Gretel) e altri ancora. Attraverso il montaggio, si instaura un botta e risposta fra opinioni diverse che si confutano a vicenda.

La tesi di Trincia e degli accusati ovviamente non cambia: psicologhe e assistenti sociali avrebbero manipolato i ricordi dei bambini con tecniche di interrogazione discutibili, generando in loro delle false memorie. Ma se nel podcast l’autore procedeva spedito come un laser, qui Berkeley cerca di fare un passo indietro, dando spazio a entrambe le parti. Questa supposta neutralità, però, non esiste. È impossibile mantenersi neutrali di fronte a un evento storico o un fatto di cronaca, soprattutto nella sua ricostruzione: ogni elemento è comunque frutto di una scelta. Veleno, in tal senso, ha gli stessi limiti di SanPa, la serie Netflix su Muccioli e San Patrignano. C’è meno spettacolarizzazione (e questo è un bene), ma l’incapacità di prendere una posizione esplicita – o meglio, la pretesa di farlo – è molto simile.

La ricerca dell’oggettività è proprio ciò che frena entrambe le produzioni, essendo illusoria. Più che trasporre il libro e il podcast, Veleno compie un lavoro su di essi, rendendoli persino l’oggetto – e non più il soggetto – del racconto. Tramite le dichiarazioni di Foti e Donati, la docu-serie getta uno sguardo critico sull’inchiesta di Trincia, innescando un cortocircuito di attacchi reciproci che trasforma gli accusatori in accusati. Non a caso, anche il comitato che riunisce le vittime e i loro genitori adottivi – Voci vere – offre il suo contributo, contrariamente a quanto avvenuto nel podcast.

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Quale verità?

Il risultato è un’opera forse più efficace a livello divulgativo, ma anche più debole sul piano critico. Facilita la ricostruzione dei fatti nella mente del pubblico, poiché integra i filmati originali (cosa che il podcast ovviamente non poteva fare) e ripercorre la storia in ordine cronologico. Al contempo, però, pesa l’assenza di un autore ben definito, che avrebbe reso più netti i contorni dell’intera operazione. Un autore c’è (Berkeley deve aver pur scelto le domande da fare agli intervistati), ma finge di essere trasparente per mostrarsi equidistante.

La docu-serie assegna quindi un ruolo ben più centrale alle persone. Sfrutta gli intermezzi del loro quotidiano per trasmetterne l’umanità, riducendo invece gli spazi dedicati al panico satanista e alla confutazione delle perizie mediche (comunque presenti, seppure in misura inferiore). Nonostante riproduca in parte l’andamento del podcast, non punta sulla stessa costruzione “drammaturgica”: piuttosto, cerca di imbastire un racconto più asciutto e naturale. In gran parte ci riesce, ma a quale prezzo?

Veleno arricchisce l’esperienza di chiunque abbia ascoltato il podcast grazie ai contributi di chi ne era stato escluso (o si era auto-escluso) e ai riferimenti all’attualità (i fatti di Bibbiano), ma ciò che manca è uno sguardo deciso, coraggioso, non appesantito dall’idea di accontentare tutti. Così, il giornalismo d’inchiesta si trasforma in semplice divulgazione.

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