“Ecco cosa c’è dietro la crisi che sta distruggendo il governo ed il M5S”

«Abbiamo visto cosa è significato per Salvini aprire una crisi balneare. Questa volta l’ha aperta il MoVimento 5 Stelle: non credo che il risultato sarà migliore di quello del leader leghista».

Panorama.it ha raggiunto Davide Vittori, studioso dei 5Stelle, per capire meglio la parabola evolutiva del partito, anche alla luce della crisi di governo in atto: «Il MoVimento, pur rappresentando la maggioranza relativa parlamentare, è minoranza politica nel governo».

Professore, lei è uno dei principali studiosi dei 5Stelle. Ci aiuti a comprendere il perchè di questa crisi di governo che pare recare la firma del movimento.

«Alcuni mesi fa, nel dare alle stampe il libro sul Movimento 5 Stelle, raggiunsi un duplice obiettivo, non solo scientifico, ma anche divulgativo sul movimento, ricostruendo la loro traiettoria storica, le posizioni politico-ideologiche e l’ancoraggio elettorale, senza tralasciare l’organizzazione e la vita interna del Movimento. Sono le direttrici da cui partire».

Partiamo, dunque. Partito o movimento, innanzitutto…

«Il Movimento 5 Stelle è a tutti gli effetti un partito politico, dal momento in cui si è presentato alle elezioni: al di là del rigetto dell’etichetta “partito”, il Movimento si deve definire tale. Semmai è stata proprio l’indecisione sulle forme organizzative a rendere ancora più travagliato il passaggio di consegne tra i vari leader del MoVimento 5 Stelle. E questo aspetto alla fine ha inciso anche elettoralmente».

Intanto il tempo è volato via, anche per i 5 Stelle…

«Sono passati quasi tredici anni da quando, il 4 ottobre 2009, Beppe Grillo celebrava l’atto fondativo del Movimento 5 Stelle, l’“asteroide” della politica italiana che molti avevano previsto si sarebbe dissolto al contatto con l’atmosfera. Non è stato così: l’impatto, soprattutto elettorale, è stato deflagrante, e dieci anni più tardi, dopo vittorie clamorose e momenti di difficoltà, apprezzamenti e critiche feroci, battaglie di opposizione e responsabilità di governo, è giunto il momento di valutare l’esperienza politica del partito alla luce degli sviluppi delle ultime ore».

Abbiamo attraversato più stagioni: Da Casaleggio a Grillo, da Di Maio a Conte.

«In realtà il passaggio di consegne vero è stato quello da Grillo, che da capo politico si è fatto garante del partito, a Di Maio. Dopodiché, è arrivato Conte, che da avvocato del popolo, catapultato nell’arena politica per dare un senso di “responsabilità” alla compagine grillina, è divenuto leader di un partito che al momento tuttavia non riesce a controllare (se mai ci è riuscito nella sua traiettoria politica)».

L’attualità incombe: in questi giorni di crisi balneare, le domande si sprecano…

«Sembra essere rimbalzati a quell’atto fondativo. Quanta sostanza c’era nei proclami dei primi tempi? Cosa si è conservato e cosa si è perso dei primi manifesti programmatici? Quali mutazioni ha attraversato il Movimento e perché? Il Movimento 5 Stelle è stato innanzitutto un tentativo (innovativo sotto molti aspetti) di trasferire la di democrazia diretta all’interno dell’organizzazione partitica».

Di questo tentativo rimane ormai poco…

«Le consultazioni interne sono sempre meno frequenti ora che Casaleggio se n’è andato. E anche sulle decisioni critiche, come la fiducia al governo Draghi, è Conte con il gruppo parlamentare a decidere. Sono lontani i tempi in cui veniva chiesto agli iscritti se Grillo avesse dovuto partecipare ai colloqui con Renzi».

Un punto di svolta è stato segnato dalla fine della stagione di Luigi Di Maio alla guida del MoVimento.

«Nonostante pare essere passata un’era geologica, la sua elezione a candidato premier nonché a Capo Politico del MoVimento 5 Stelle, risale “solamente” a fine 2017: il tempo per una vittoria trionfale, quella delle politiche del marzo 2018 e di alcune sconfitte brucianti (le europee del maggio 2019 e le elezioni regionali dal 2018 ad oggi). Le dimissioni di Di Maio arrivano alla vigilia di un’altra tornata che, oltre a essere stata decisiva per l’allora governo Conte, si è rivelata piuttosto fosca per il MoVimento 5 Stelle. Dimissioni che peraltro avevano anche permesso a Di Maio di lanciare più di uno strale contro alcuni compagni di viaggio accusati di aver remato contro il Capo Politico e il partito stesso».

Lei ha considerato la traiettoria di Di Maio fondamentale per capire l’evoluzione organizzativa stessa del MoVimento 5 Stelle.

«La parabola di Di Maio all’interno del partito grillino inizia ben prima del 2017: eletto parlamentare per la circoscrizione Campania 1, Luigi Di Maio diviene uno dei componenti del cosiddetto Direttorio istituito da Grillo e Gianroberto Casaleggio nel 2014, per tentare di dare una forma ad un partito cresciuto impetuosamente con il risultato delle politiche del 2013. Di Maio nel Direttorio ricopre il delicato ruolo di responsabile degli enti locali in una stagione in cui sono ancora spinosi i casi di Federico Pizzarotti, sindaco di Parma epurato dal partito e in aperto contrasto con Di Maio stesso, e di Virginia Raggi, all’epoca alle prese con le vicende giudiziarie legate ad alcuni suoi assessori».

Dopo succede di tutto…

«Da politico incendiario all’opposizione, dopo aver chiesto l’impeachment per il Presidente Matterella, Di Maio diviene “pasionario” del reddito di cittadinanza (che reddito di cittadinanza non è, ad essere onesti) e infine abbarbicato su posizioni che sono anni luce lontane dal MoVimento 5 Stelle delle origini, specialmente in politica estera. Non per essere retorici, ma si tratta di una storia molto italiana, di un politico che ha capito che per rimanere al potere deve allontanarsi dal suo partito».

Un aspetto ci ha sempre colpito: agli iscritti è stato garantito un potere formale sconosciuto agli altri partiti.

«Vero: in nessun altro partito si è votato su così tante scelte strategiche (alleanze in primis). Tuttavia, queste votazioni degli iscritti, che rappresentano la traduzione pratica del concetto di democrazia diretta immaginata dal MoVimento 5 Stelle, hanno un carattere più di ratificazione che di vera e propria scelta. È capitato che in un paio di occasioni la scelta della leadership venisse ribaltata, ma si tratta di casi sporadici. Più di recente le scelte critiche sono state prese altrove, non dagli iscritti: non dimentichiamo che il MoVimento 5 Stelle, prima della seconda elezione di Matterella aveva permesso agli iscritti anche di scegliere il proprio candidato presidente della Repubblica».

Nel complesso, un’organizzazione con una leadership triarchica e un costante coinvolgimento degli iscritti tende ad assumere i tratti plebiscitari.

«Sì, specialmente nella prima fase del MoVimento. Mancando fino a poco tempo fa organismi di intermediazione degli interessi tra i vari livelli istituzionali (nazionale, regionale, locale), il plebiscitarismo ne è uscito rafforzato dentro il partito. Per questo nel mio libro parlo di partito-movimento “plebiscitario”, perché questo modello aveva la pretesa di dare voce “direttamente” agli iscritti e di far parlare gli iscritti attraverso la leadership. Il MoVimento 5 Stelle ha tentato di tenere fede a tale principio per oltre un quinquennio, ma le vicissitudini seguite alla sconfitta alle Europee del 2019, ha stravolto i piani».

In realtà il partito appare senza radici organizzative…

«E senza radici ideologiche. Si è trattato di un limite strutturale fortissimo su cui hanno peraltro pesato tanto le spinte centrifughe provenienti dai livelli sub-nazionali quanto quelle provenienti dai gruppi parlamentari, specialmente in questa legislatura. Un partito con una proiezione nazionale non può esimersi dall’avere una sua penetrazione locale: non si tratta di una legge ferrea, ma di una necessità inalienabile, con cui il MoVimento 5 Stelle ha dovuto fare in conti partendo da un dato di realtà: la discrepanza dei voti alle politiche con quelli delle regionali e comunali».

…e forse senza un profilo ideologico chiaro.

«Si tratta di un punto che è servito per avere una forte presa elettorale sin dall’inizio (2013), ma che sul lungo termine non paga, perché ad ogni decisione politica, gli elettori sanno quale potrà essere la posizione del partito. Il consenso del MoVimento 5 Stelle è stato effimero da questo punto di vista, perché fondato più alcuni temi che in scienza politica chiamiamo “valence”, ossia condivisi dalla stragrande maggioranza dei cittadini. Ma alla fine il riferimento ideologico è imprescindibile nel lungo termine».

Intanto da qualche ora ci confrontiamo con l’ennesima crisi di Governo.

«È forse presto per dire come si evolverà. La mia sensazione è che dentro il MoVimento 5 Stelle le divisioni, pur presenti, non porteranno Conte a chiedere nuove elezioni. In questo momento, Conte è debole come leader, non ha una piattaforma politica chiara da cui partire per rilanciare la propria offerta politica, ha subito scissioni importanti negli ultimi anni e soprattutto nel gruppo parlamentare molti esponenti sanno che non saranno rieletti».

Il MoVimento rappresenta la maggioranza relativa parlamentare, ma è minoranza politica nel governo.

«Accadde già per il governo Conte I: la mia idea è che tanto Mattarella quanto una parte consistente del Movimento (per quanto paradossale sia questo nesso) abbiano lo stesso interesse, quello di far proseguire la legislatura. Anche perché in caso di elezioni in questo periodo, ci sarebbe solo un colpevole che verrebbe individuato dai media, Giuseppe Conte. Non so quanto convenga presentarsi come colui che ha fatto cadere un governo di unità nazionale, in questo periodo soprattutto».

Il Senato aveva confermato la fiducia al governo sul Decreto Aiuti con 172 sì. Il M5S non ha partecipato al voto…

«Secondo me tutto si riconduce all’ambiguità di cui sopra: il MoVimento vorrebbe avere un potere più ampio di gestire l’agenda politica. Forse è una cosa che legittimamente reclama, perché rappresenta la maggioranza relativa al governo. Draghi però non essendo vincolato ad alcun meccanismo di “accountability” al di fuori del parlamento (un’anomalia tipica del Sud e dell’Est Europa) ha il coltello dalla parte del manico. E, ovviamente, sta facendo sentire tutto il suo peso politico».

Grillo è tornato alla carica schierandosi con l’ex premier e dichiarando “Beppe è con Conte. Il Movimento 5 Stelle sta facendo il Movimento 5 Stelle”.

«E’ troppo tardi: questo atteggiamento “ostruzionistico” ha pagato nel 2013 con Bersani. Ad oggi il clima politico è completamente mutato. Il MoVimento 5 Stelle è stato al potere negli ultimi 4 anni, per cui anche pensando di scaricare su Draghi le colpe per non aver ascoltato il MoVimento, dubito che nell’opinione pubblica questo messaggio verrà recepito».

E alla fine Mario Draghi ha rassegnato le dimissioni…

«Eppure pochi anni orsono abbiamo visto cosa è significato per Salvini aprire una crisi balneare. Questa volta l’ha aperta il MoVimento 5 Stelle: non credo che il risultato sarà migliore di quello di Salvini».

Professore, ora cosa ci attende?

«Molto difficile dirlo nel breve periodo. Al momento si discute di legge elettorale. Va cambiata, sicuramente. Ma il maggioritario è impensabile in questo scenario con un polo (il centro-destra) che non sappiamo quanto diviso al proprio interno, con un’alleanza (tra PD e MoVimento 5 Stelle) in forte discussione e con il centro molto frammentato. Le elezioni prima della legge di bilancio sarebbero inutili tanto si andrebbe comunque a votare a inizio 2023. Prevedere il futuro in questo scenario è difficile: direi che la crisi rientrerà, ma è più un auspicio che una previsione».

Davide Vittori è ricercatore presso l’Université Libre de Bruxelles, visiting researcher presso l’Università di Valencia e adjunct professor presso le università di Anversa e LUISS Guido Carli. I suoi interessi di ricerca spaziano dall’analisi delle organizzazioni partitiche al comportamento elettorale e i sistemi partitici europei. Ha pubblicato contributi per la Government & Opposition, European Jorunal of Political Research, West European Politics e altre riviste. È co-curatore di una special issue su Digital Activism e Digital Democracy per l’International Journal of Communication. Ha collaborato alla stesura di alcuni degli ultimi rapporti del Centro italiano sugli studi elettorali (CISE). Ha pubblicato “Il Valore di Uno. Il Movimento 5 Stelle e l’esperimento della democrazia diretta” (LUISS University Press).

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