Le stelle cadenti del Movimento

Le cinque stelle cadenti: Sibilia, Bonafede, Taverna, Dadone, Crimi. Solo per citare quelle più splendenti. Sono alcuni dei volti storici pentastellati che vedranno chiudersi la carriera come una scatoletta di tonno, dopo il diktat di Beppe Grillo sul limite dei due mandati. «La luce nelle tenebre» ha sentenziato l’Elevato, una regola che «rappresenta la nostra interpretazione della politica come servizio civile».

Fatto sta che nel movimento si è scatenato il panico. «E ora che facciamo?», si chiedono strabuzzando gli occhi i defenestrati. «Se non mi candidano, è escluso che passi la mia estate ad aiutare un movimento che vuole scaricarmi», dice un grillino deluso.

Ma quali sono esattamente i talenti che la repubblica rischia di perdere, se il tetto dei due mandati verrà infine confermato? Carlo Sibilia è quello che meno di tutti ha piedi per terra, visto che è convinto che lo sbarco sulla Luna non sia mai avvenuto: «Ancora nessuno se la sente di dire che è stato una farsa», ha twittato qualche tempo fa. È il campione del pensiero border line, come la proposta di legge per «legalizzare i matrimoni di gruppo e tra specie diverse. Purché consenzienti».

Alfonso Bonafede è il ministro che presta il nome alla riforma della giustizia di stampo grillino. Celebre per non aver saputo distinguere in televisione tra “colpa” e “dolo”, una cosetta da primo anno di giurisprudenza. Poi, sempre in tv, disse che «gli innocenti non vanno mai in carcere», frase che lo costrinse a rocambolesche precisazioni a posteriori.

Paola Taverna, invece, è l’anima borgatara del movimento. «Oggi li sfonnamo de brutto!», con queste parole da gentildonna si è presentata in senato nel giorno cruciale per il governo Draghi. «Se semo rotti!», il grido di battaglia che rappresenta l’emblema dello scadimento della politica trasformata, per l’appunto, in una taverna.

Fabiana Dadone è il ministro di lotta e di governo, passata dal dicastero della pubblica amministrazione a quello delle politiche giovanili, è rimasta incollata alla poltrona nonostante il crack del governo. Riesce ad essere draghiana e contiana contemporaneamente, e oggi è la più recalcitrante ad abbandonare il campo.

Su Vito Crimi ci sarebbe molto da dire, ma sarebbe come sparare sulla croce rossa. Lo chiamano «Vito lo smentito», per la quantità di volte infinita in cui il partito ha dovuto correggere le sue sparate. In una delle sue prime consultazioni al Quirinale (c’era ancora Napolitano) se ne uscì dal palazzo dicendo a tutti: «Il presidente non si è addormentato», causando una crisi diplomatica. «L’orsacchiotto Crimi», etichetta coniata per il suo essere innocuo nella sua vacuità, assunse la reggenza del Movimento poco prima del tracollo. Come gli altri, rappresenta il meglio che i cinque stelle hanno saputo offrire. Figuriamoci il peggio.

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