Assomiglia un po’all’Italia

I contrasti sull’energia, la posizione faticosa su Ucraina e Russia, una gestione confusa sulla crisi pandemica. E intanto la recessione globale si avvicina. Quella che si considerava la nazione europea più ordinata e razionale sta assumendo forti tratti di quella storicamente più scombinata.


Dimenticatevi le crisi al buio, i governi tecnici e le salite al Quirinale, che da queste parti si chiama Bellevue. Il sistema istituzionale tedesco è più funzionale di quello italiano e la classe politica, benché anche qua impegnata a mantenere il potere, non è maestra di scissioni e trasformismi. Eppure anche in Germania il malessere serpeggia nei palazzi della politica: l’instabilità formato Belpaese sarà pure lontana, ma il senso di solidità trasmesso dai quattro governi di fila di Angela Merkel appartiene ormai definitivamente al passato.
Un po’ c’era da aspettarselo: con il cancelliere Olaf Scholz, la Repubblica federale tedesca sperimenta un’alleanza a tre del tutto nuova, con il partito socialdemocratico (Spd) del capo del governo chiamato a fare da cerniera fra due formazioni come i Verdi e i Liberali (Fdp) accomunate dall’atlantismo, una dote che a casa del cancelliere invece non abbonda, e dalla propensione a rivolgersi agli elettori più giovani, mentre l’Spd resta ampiamente il partito dei pensionati. Per il resto ecologisti e sostenitori del libero mercato sono divisi da tutto, e gli strascichi di una pandemia che non passa e la crisi economica che incombe non aiutano il cancelliere a trovare la quadra. Se nell’eurozona il Pil è cresciuto del 5,3 per cento nel 2021, in Germania l’aumento è stato di soli 2,9 punti percentuali (e +6,6 in Italia). Le previsioni non vanno bene neppure per l’anno in corso (+1,4 per cento in Germania e +2,6 nell’eurozona) mentre nel 2023 la Repubblica federale crescerebbe meno della media degli Stati a moneta unica.
Le meste aspettative della Commissione Ue vedono il potere d’acquisto dei tedeschi intaccato dall’inflazione, il costo dell’energia in salita e le strozzature dell’industria in aumento; e a metà luglio il quotidiano più influente, Faz, si è chiesto se la Germania stia tornando a essere «il malato d’Europa» come negli anni successivi alla riunificazione.

Se l’economia piange la politica appunto non ride e la casistica della confusione è ricca. Sul nucleare, per esempio, Verdi e socialdemocratici sono convinti sostenitori della necessità di spegnere anche gli ultimi tre impianti funzionanti in Germania. Così nei giorni in cui il Parlamento europeo ha inserito il nucleare tra gli investimenti green (perché non emette CO2), il governo tedesco ha respinto la proposta dei Liberali di prolungare la vita delle tre centrali atomiche tedesche ancora attive almeno fino alla fine della crisi energetica di questi mesi.
Inascoltata, la presidente liberale della commissione Difesa del Bundestag Marie-Agnes Strack-Zimmermann ha osservato che, «quando si tratta di fornire alla popolazione l’energia di cui ha bisogno, non dovremmo essere ideologici». Il vicecancelliere e ministro dell’Economia, l’ecologista Robert Habeck, non ha replicato annunciando, a malincuore si intende, che petrolio e gas russo saranno invece sostituiti bruciando più carbone.
La possibilità che la Russia continui a pompare volumi strategicamente contingentati di gas verso la Germania sta facendo salire la pressione politica. Così Andreas Jung, il vicepresidente della Cdu passata all’opposizione con l’uscita di scena di Merkel, ha riaperto la discussione sull’introdurre un limite di velocità sulle autostrade tedesche. «Tutto ciò che ci può aiutare a risparmiare CO2 quest’inverno deve ora essere messo sul piatto: il risparmio energetico, l’energia nucleare, quella da biomassa e anche un limite di velocità», per quanto «temporaneo», ha affermato alla Bild, il quotidiano più popolare. Ma rallentare un po’ il traffico sulle veloci autobahn tedesche non ha niente a che vedere con le forniture di gas russo. Quello di Jung sembra più il tentativo di inserirsi fra le crepe di una maggioranza incerta.

Incerta sull’energia come sulle consegne di armi all’Ucraina – e in questo caso Liberali e Verdi sono più motivati e decisi dei compagni della Spd, un partito che ha anche prodotto Gerhard Schröder e Sigmar Gabriel, un ex cancelliere e un ex più volte ministro fautori di una Germania attaccata sempre e comunque al tubo del gas russo. Maggioranze confuse spesso producono soluzioni parimenti incoerenti. Come il biglietto dei trasporti regionali da 9 euro al mese reso disponibile dal governo nei tre mesi estivi: una misura per combattere il caro-benzina e spingere i tedeschi a usare di più treni, metropolitane, tram e autobus locali.
Il biglietto da 9 euro è andato a ruba: ne sono stati acquistati 31 milioni tra fine maggio e prima metà di luglio. L’operazione è costata 2,5 miliardi di euro e in effetti ha contribuito all’aumento del traffico sulle reti regionali. Reti, che, denunciano i media tedeschi, arrivano al collasso nei fine settimana o durante i ponti. Succede soprattutto sui treni diretti verso le placide spiagge del mar Baltico, meta privilegiata della villeggiatura di mezza Germania.
Concepita per dare una mano ai pendolari, l’offerta permette la libera circolazione di tutti i passeggeri, tedeschi o turisti stranieri, sulle linee regionali del Paese. Risultato: da una parte Deutsche Bahn fa circolare treni a lunga percorrenza semivuoti, aumentando le proprie perdite; dall’altra i «regionali» sono pieni durante la settimana e affollatissimi nel weekend con il corollario dei disabili in carrozzina che non trovano posto, delle persone con biciclette al seguito (nel Nord Europa è una pratica comune) bloccate sulle piattaforme, bagni sporchi e ritardi a catena.
Gli esperti del settore, poi, osservano che con quella cifra si sarebbe potuta rafforzare la rete dei trasporti locali – obiettivo che fra l’altro i Verdi ripetono come un mantra – anziché finanziare una misura una tantum che lascerà il tempo che ha trovato. Il governo di Scholz ci ha ripensato celebrando il biglietto a 9 euro come un grande successo ma preparandosi a sostituirlo con uno da 69 euro. Quanto alla pandemia, la Germania non fa eccezione: le nuove varianti Omicron impazzano e in molti hanno puntato il dito anche contro i treni regionali trasformati in scatole per sardine.
Anche in tema di coronavirus il governo Scholz sbanda. Il 15 luglio il presidente della Commissione permanente sui vaccini (Stiko), il virologo Thomas Mertens, si è espresso contro la quarta vaccinazione anti Covid-19 appena raccomandata dal ministro della Salute Karl Lauterbach, l’immunologo di lungo corso scelto dal cancelliere proprio per mettere un freno al potente movimento tedesco dei no-vax. «Si tratta di un cattivo consiglio medico», ha dichiarato Mertens alla Welt am Sonntag, subito spalleggiato dal segretario generale della Fdp, Bijan Djir-Salai.

Una cacofonia all’italiana, dunque: quando il governo ha indicato nell’intellettuale Ferda Ataman la nuova commissaria federale contro le discriminazioni, la maggioranza rosso-giallo-verde si è mostrata divisa sulla politologa nata in Germania da madre turca e padre tedesco di origine turca. I Liberali, ma non solo loro, non le perdonano di aver chiamato per anni Kartoffeln («patate») i tedeschi privi di un’origine migratoria. Non contenta, Ataman ha istituito un premio «patata d’oro» attribuito dal gruppo giornalistico da lei diretto (Ndm) a chi è inciampato in tema di discriminazioni.
Un personaggio divisivo, il contrario di ciò di cui ci sarebbe bisogno, come lamentato dall’intellettuale arabo-israeliano Ahmad Mansour, in prima fila in Germania nella lotta al radicalismo islamico. Ataman, il cui ruolo dovrebbe essere apolitico, non solo è stata contestata dall’opposizione – «un errore grossolano», hanno tuonato i cristiano sociali bavaresi (Csu) – ma ha ricevuto 20 voti di meno della maggioranza che sostiene Scholz. E soprattutto ha ottenuto il via libera della maggioranza solo dopo aver cancellato oltre 10 mila post poco politicamente corretti dal suo account Twitter.

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