Letta perde Calenda e scopre il fallimento del suo progetto politico-elettorale

Ha vinto “la ditta” ancora una volta. A dispetto dei proclami delle ultime settimane Enrico Letta ha scelto l’assetto del vecchio centrosinistra, anzi, forse solo della sinistra. Cestinata l’agenda Draghi, imbarcati assistenzialisti e ambientalisti radicali, messo fuori Renzi e portato Calenda alla reazione con la rottura dell’alleanza. La ricerca di una coalizione ampia a tutti i costi da parte di Letta sono comprensibili perché il centrodestra è in vantaggio nei sondaggi e la legge elettorale richiede coalizioni ampie sui collegi, ma il come si è giunti a questo punto, con l’unico accordo in piedi tra Pd, Sinistra Italia e Verdi offre spunti di riflessione.

Dopo la crisi del governo Draghi per mano di Giuseppe Conte, il Pd ha iniziato una campagna martellante sull’agenda Draghi – un programma di governo di sei mesi nei fatti – cercando di raccogliere l’eredità del premier uscente. Strategia fallimentare perché Draghi non si è fatto trascinare nel dibattito politico mentre la coalizione si é scomposta. È fallito il campo largo con il Movimento 5 Stelle e si sono subito avviate le trattative con i centristi. L’idea sembrava quella di puntare su una alleanza filo-atlantica, europeista, compatta sull’Ucraina, capace di seguire le indicazioni lasciate da Draghi. Calenda ha dettato le condizioni programmatiche e ottenuto posti, ma il richiamo della foresta a sinistra, complici anche sondaggi sfavorevoli, è stato troppo forte per il Pd.

Ecco allora l’accordo bilaterale, separato, tra Pd e Sinistra Italiana-Verdi che si affianca a quello con Azione. La situazione è divenuta a dir poco bizantina: il Pd stringe alleanze singole e pretende che i suoi alleati non si considerino tali tra di loro. C’è però un problema: nei collegi uninominali sulla scheda ci sarà un solo simbolo che li raggruppa tutti. Presentare un cartello elettorale “tecnico” spiegando che non è una coalizione è una prova impossibile, un meccanismo incomprensibile per la stragrande maggioranza della popolazione.

Da questo impaccio emergono contraddizioni ancora più profonde. Per mesi il Pd ha accusato la destra di filo-putinismo, ma nonostante le posizioni oscillanti di Salvini la Lega ha votato sempre con la maggioranza e addirittura Fratelli d’Italia si è aggiunta dall’opposizione sulla fornitura di armi all’Ucraina. Il 5 stelle è stato allontanato dalla coalizione anche per le sue posizioni in politica estera oltre che per la sua critica alla politica economica di Draghi. E ora?

Il Pd riaccoglie Fratoianni e Bonelli, protagonisti di estrema sinistra con posizioni in economica e politica estera analoghe a quelle del Movimento. Come farà il centrosinistra ad accusare la destra di anti-atlantismo e filo-putinismo ora che si è caricata pacifisti e NATO scettici? Il centrista Carlo Calenda, autoproclamatosi sin dal principio anti-populista e anti-assistenzialista, non poteva allearsi con chi avversa rigassificatori, inceneritori e trivelle, e plaude al reddito di cittadinanza e altre numerose politiche assistenziali.

A questo punto, rotto con Calenda, per Letta varrebbe comunque la pena riprendere in mano il “campo largo” senza il centro e coinvolgere anche Conte, almeno avrebbe qualche chances di vittoria in più. Senza il Movimento 5 Stelle e senza Azione al Pd resta per ora un gran pasticcio: senza una linea politica, con una riedizione in piccolo della vecchia sinistra. Troppo poco per tentare di vincere le elezioni e forse anche troppo poco anche soltanto per sbarrare il passo agli altri. Col rischio che il Pd perda anche la tanto difesa affidabilità internazionale poiché con alleati così, se mai dovesse vincere le elezioni, la maggioranza sarebbe nelle mani della sinistra massimalista o del Movimento 5 Stelle se venisse recuperato. Ma forse non c’è nemmeno l’ambizione di vincere le elezioni o di governare con questo impasto. È una coalizione del “non vincere” che punta soltanto a non far stravincere gli avversari. Un piano molto modesto.

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